Perché
Pasquale Massacra (Pavia, 1819-1849) non è uno di
quei nomi che tutti conoscono a memoria? Perché si celebra tanto
Hayez e lui, che fu suo allievo, è
ignorato, mentre se solo fosse vissuto abbastanza sarebbe stato anche più
grande? Forse perché inquieta, anzi incute timore. Per dirla con le parole del
Francesco nazionale: “
Voi mi fate paura, Pasquale mio, che avete cominciato
là dove altri appena si arrischierebbe a finire”. Perché? Perché Pasquale
Massacra fu un genio.
Era il povero figlio di un fornaio pavese e di
un’ortolana, non poteva studiare. Lascia la scuola in seconda elementare, va a
bottega da
Paolo Santi. E qui lo vede
Cesare Ferreri, che di denaro ne ha tanto, se ne innamora e lo
porta alla Scuola di nudo e incisione. Racconta il Medioevo pavese, ma eccelle
pure nei ritratti.
Il trionfo avviene nel 1846, a Brera, dove espone
l’inarrivabile
La madre di Ricciardino Langosco in traccia del cadavere del
figlio ucciso nell’espugnazione di Pavia per le armi di Matteo Visconti. In un’alba livida la donna sbarra
gli occhi e allarga le braccia, vedendo il corpo del figlio morto durante la
resistenza all’invasore. La posa, vedi
Stabat mater, è da compianto ligneo cinquecentesco.
L’atmosfera – è pieno Risorgimento – da moto rivoluzionario. Hayez, sgomento,
pronuncia la succitata frase. Mazzocca, scomodando il Parnaso, pone il cadavere
scorciato a confronto coi disperati della
Zattera di
Géricault. E perché non con
La morte di
Abele di
Fabre?
Già Mazzini lo scrisse nella
Pittura moderna italiana del 1841: proprio i pittori “
nati
dal popolo” (
Sabatelli,
Bezzuoli,
Sala,
Migliara, lo stesso Hayez) furono gli
artefici del riscatto di un’arte che, agli occhi del mondo, sembrava languire
su un binario morto. Infondendogli nuova linfa, giovane, ardente e virile. A
Pavia tutto ciò, grazie all’impeccabile curatela di Susanna Zatti
e alle sessanta opere esposte, è
tangibile.
L’
Incontro di san Paolo eremita con sant’Antonio Abate ha una semplicità visionaria che
ricorda le incisioni di
Blake, il
Cristo coronato da spine occhieggia a
Guido Reni ma ha uno sguardo carico di
sbigottita speranza, l’intenso
San Giovanni evangelista ha la posa plastica e la bellezza
statuaria di un ritratto di
Mengs.
Massacra lasciò anche vari dipinti volutamente non finiti.
Tra essi, più ancora della celebrata
Donna in rosso – che anticipa genialmente le
inquietudini espressioniste – colpisce il
Vecchio con bambino: l’anziano, al crepuscolo
dell’esistenza, è reso nei minimi particolari, mentre poco più che abbozzato è
il ragazzetto che a lui si aggrappa, campo brullo ancora tutto da arare.
La sera del 15 marzo 1849, tradito da tre militari con cui
complottava un’azione antiaustriaca, viene ferito a morte. La salma,
imbalsamata, vagherà dodici anni prima di trovar riposo nel famedio cittadino,
mentre la testa (in mostra!) è al Museo Scarpa dell’Università.
Muore giovane chi è gradito agli dei. Sciagurato chi non è
stato finora in grado di fornire a un artista di questa grandezza una sepoltura
decente.