La sfida, affrontata sia da Joan Miró (1893-1983) che da Marc Chagall (1887-1985), era quella di utilizzare, nell’“epoca della riproducibilità tecnica dell’arte”, la calcografia e la litografia come strumenti capaci di ridare unicità a opere pensate per una produzione seriale. Le opere raccolte oggi alla Fondazione Mazzotta, eseguite per il mercante, stampatore ed editore Aimé Maeght, fondatore del celebre museo che porta il suo nome, a Saint-Paul-de-Vence, dimostrano le diverse strade che i due artisti hanno seguito per vincere questa sfida.
Il rapporto tra Miró e la Fondazione Maeght non si limita alla commissione di opere d’arte: l’artista seguì, accanto all’architetto Josep-Liuis Sert, la progettazione dello spazio stesso in cui esporre i suoi disegni e le sue sculture, realizzando anche l’arco d’ingresso del museo e uno stupendo “labirinto” di ceramiche monumentali e bronzi.
Chagall si trasferisce a Vence nel 1949 e per la Fondazione realizza un enorme mosaico, Les Amoureux (1964-67), di cui è presente in mostra l’acquerello preparatorio. Due personalità antitetiche, le cui opere, del tutto inedite per l’Italia, vengono accostate in quest’occasione creando due percorsi di visita godibili separatamente. Le circa novanta tra litografie, acquatinte e acqueforti di Joan Miró rendono conto di quarant’anni di lavoro: dal 1938, anno della Serie nera e rossa, al 1981, data dell’incisione Miró Milano, una delle opere esposte appartenenti alla Fondazione Mazzotta, realizzata dall’artista per la città meneghina in occasione della monografica allestita in suo onore in quell’anno.
Ciò che più colpisce, passando in rassegna le opere di Miró, è la sua capacità di assimilare materiali diversi e di sperimentare all’interno di una soluzione tecnica diverse varianti,
Si passa poi ai voli dell’anima di Marc Chagall, nelle cui opere le forme si ricompongono e i corpi riacquistano una dimensione, ma solo per torcersi e librarsi in una visione onirica e fantastica, che traduce anche le più piccole contingenze del vissuto quotidiano in uno stato emozionale. Dalle incisioni realizzate per illustrare il romanzo Le anime morte di Gogol, del 1923-27 (anch’esse di proprietà della Fondazione Mazzotta), in cui è avvertibile forse un’eco della produzione grafica di Grosz, ai meravigliosi disegni degli anni Cinquanta, dove il colore partecipa della magia dissolutiva delle forme, sciogliendo in vapori di sogno i corpi volteggianti su La notte di Parigi (1954). E poi galli, cavalli, profumatissimi bouquet di fiori, il sole e la luna, sempre presenti e sempre indistinti, così come rimangono indistinti il giorno e la notte nell’anima di un sognatore.
stefano bruzzese
mostra visitata il 14 ottobre 2006
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