La messinscena è il
terminus ad quem delle elaborazioni di
John Hilliard (Lancaster, 1945; vive a Londra). L’artista
inglese indaga le possibilità offerte dal mezzo fotografico, per ottenere
quell’immagine che lasci dietro a sé i connotati della replica isomorfica della
realtà e che si carichi di riferimenti simbolici e a tratti misteriosi.
Nonostante lo spazio espositivo della sua personale presso
la Galleria Artra trabocchi d’immagini, occorre astrarsi dalle medesime e
prendere in considerazione l’immagine in sé e per sé per poter capire che cos’abbia
fatto Hilliard del suo concetto. E, come spesso accade, nulla è più utile per
capire un’astrazione che concentrarsi sui suoi concreti rimandi esplicativi.
Le opere in mostra non sono tutte astratte. Anzi, la maggior
parte di esse condivide un carattere che sbrigativamente si potrebbe definire
realista. E molte presentano tratti ora misteriosi ora ludici. Hilliard adotta
il metodo della sovrapposizione d’immagini: blocca un oggetto centrale nella sua
fissità marmorea e movimenta quanto ruota attorno a esso. L’oggetto centrale
viene così a essere il perno attorno al quale gravitano gli altri elementi,
espressione della volontà di costruzione dell’immagine nella sua globalità
intorno a una forma geometrica.
La dialettica fissità/movimentazione caratterizza quelle
opere che
de relato definiremmo “astratte”, una delle quali reminiscente d’un
Rothko, caratteristica che impronta di
sé anche la foto realizzata a quattro mani con
JemimaStehli,
Table, dove la prospettiva fantasmatica
astrae un tavolo come un elemento geometrico che vagola in un ambiente diafano.
Il resto dei lavori in mostra denota di converso una certa
narrazione, suggerita dalla registrazione di elementi temporali che impongono
la messinscena della raffigurazione. Del resto, Hilliard prepara sovente il
disegno dell’opera compiuta. Esemplare in questo senso è
Pose, elaborazione dai plurimi rimandi
denotativi: un lavoro sullo sguardo, enfatizzato in
Spellbound, con cui condivide
l’esplicitazione del ruolo iconologico che la messinscena gioca in tutte queste
immagini.
Ma a Hilliard garba spiazzare l’osservatore: ecco allora
l’inserimento di elementi misteriosi e ludici all’interno di opere
“enigmatiche” come
Another time, another place e
Inside out. La prima affonda nella storia
della fotografia, ostentando molteplici immagini erotiche risalenti agli albori
del mezzo fotografico, scenario rispetto al quale la modella fotografata da
Hilliard si astrae concentrata nella lettura di un libro del quale nulla è sato
sapere.
Miriadi di nudi
d’antan che
Inside out rimpiazza con una surreale costellazione d’immagini di
architetture razionaliste, mentre al centro della scena, dietro un misterioso
oggetto parallelepipedo, si scorge una tendina blu dai tanti disegnini infantili. Come sempre, anche l’artista è un produttore di idee, talvolta
balorde ma spesso geniali.