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fino al 14.IV.2007 Dolls Milano, Galleria Raffaella Cortese
milano
Donne e bambole: dai ricordi d’infanzia agli abusi quotidiani. Il simbolo del gioco femminile si presta a diventare leit motiv di un’esposizione. Cinque artiste di fama internazionale unite. Non per l'otto marzo…
Non sappiamo se il riferimento (o almeno uno dei riferimenti) iconografici della mostra sia stato il film Bubble di Steven Soderbergh, ma la congruenza di temi e questioni è disarmante. Nell’uno e nell’altro caso, infatti, la bambola, il bambolotto, è il pretesto perfetto per descrivere condizioni di indigenza, di umanità trafitta da disagi sociali e personali.
Il bambolotto quasi umano al quale si rivolge Maria Marshall (Bombay, 1966), è il simbolo (nonché la vittima) di una situazione di povertà economica ed umana vissuta dalla madre. Il video Pinocchio trova nell’interno di una roulotte la location perfetta. Molti oggetti sparsi per terra e sui divani legano l’atmosfera ad un’estetica post-pop, a cui molti film americani ci hanno abituato. Due elementi di dissonanza sono: le candele, che invertono il loro percorso di consumo naturale, e il piedino del bambolotto, che muovendosi in uno scatto vitale, diventa l’elemento destabilizzante. La potenza delle immagini è molto forte e se legata ai modelli proposti negli ultimi anni nei morbosi rapporti madre-figlio, viene anch’essa modellizzata, resa stereotipo di massa.
Ben più personale è il rapporto che lega le bambole alle rappresentazioni di Zoe Leonard (New York, 1961). In Bride with broken fingers il vero nodo concettuale sono le dita spezzate. La bambola risulta così alter-ego della condizione diffusa e per niente passata di moda della donna-oggetto, e si pone come spettro delle quotidiane violenze subite. La denuncia passa attraverso l’immediato paragone tra la donna (la vera protagonista?) e il suo corrispettivo sintetico.
Il percorso, avviato fin qui a caricare di tensione im magini e argomenti trattati, trova un suo raffreddamento nel cupo cromatismo di Laurie Simmons (Long Island, 1949). Nelle sue fotografie i pupazzi, le marionette, si muovono in spazi domestici e conosciuti. L’oscurità e la povertà di dettagli della resa però, rendono da un lato una grande inquietudine verso il buio e dall’altro la possibilità di un incubo deja-vu. Del rapporto uomo-bambola si occupa anche Destiny Deacon (Maryborough, Queensland, 1957) con il suo Axed. Ma la sua specifica origine è meglio rappresentata con il mezzo fotografico. Criticando infatti la storiografia bianca applicata al mondo maori, costruisce dei teatrini, di un ricercato cattivo gusto, in una veste inequivocabilmente parodistica ed esagerata.
Il discorso, già impostato da Cindy Sherman, in perfetta concordanza generazionale (Glen Ridge, New Jersey, 1954), sembra aver spostato il suo bersaglio. Se le operazioni fotografiche sui manichini della Sherman erano state inserite da Mario Perniola nel suo Il sex appeal dell’inorganico, gli ultimi dieci anni hanno cancellato quel fascino a favore di una maturata consapevolezza, che gli permette di sfruttarlo per offrire nuovi messaggi.
claudio musso
mostra visitata il 1 febbraio 2007
Dolls – Galleria Raffaella Cortese, Via Alessandro Strabella, 7 – 24129 – Milano – ingresso libero – orari di visita: mar-sab 15/19.30 e su appuntamento (possono variare, verificare sempre via telefono)
per informazioni: +39 022043555 (info), +39 0229533590 (fax) – rcortgal@tiscali.it – www.galleriaraffaellacortese.com
[exibart]
peccato che mario perniola nell’analisi (en passant, sia chiaro) dei ‘manichini sessuali’ di cindy sherman sia arrivato buon ultimo, dopo rosalind krauss, hal foster, abigail solomon-godeau, laura mulvey e norman bryson. eh, ma si sa, leggere le cose in lingua originale è una fatica troppo grande…
anche chiamarsi con il proprio nome, a quanto pare…
senti da che pulpito…
sento ancora la puzza della tua coda di paglia andata in fumo…colpito e affondato…