Quello di Michael Sailstorfer (Vilsburg, 1979) è un percorso costante segnato, negli ultimi anni, da mostre personali e collettive nelle principali istituzioni europee e americane. E, in questa personale milanese, l’artista prosegue la sua indagine sull’instabilità delle forme sulle quali agisce attraverso azioni che dilatano lo spazio dell’arte e le sue conseguenze. Un lavoro complesso e riconosciuto che, senza mai perdere d’incisività e arguzia, inserisce i suoi progetti, le sue installazioni, proiezioni e sculture, dentro un piano di ricerca tra i più attuali nel panorama internazionale; e la presenza, reale o virtuale delle sue “expanded sculpture”, ne è testimonianza. Nella proiezione Lohma, una piccola struttura abitativa in ferro viene ripresa e proiettata in loop mentre si espande e si ritrae, nei secondi appena precedenti alla sua distruzione, per lʼesplosivo posto al suo interno dallʼartista; l’immagine, accompagnata da un drammatico rumore di fondo, ci presenta una sorta di
respiro fatto di espansione e contrazione che l’artista ha scelto di protrarre all’infinito a esemplificazione di una catastrofe latente. Ma, in generale, tutta la mostra milanese introduce in una dimensione dissacratoria – tra ironia e dramma – a cui l’artista contrappone la sobrietà delle forme e l’espansione di suoni difficilmente definibili e la cui origine si scopre percorrendo gli spazi della galleria. Dentro questa atmosfera visiva e sonora, oggetti di uso quotidiano diventano elementi per grandi opere dal forte potere narrativo ed evocativo: nell’installazione rotante Cumulus, ad esempio, a cui si contrappone l’immobilità di Solarkatze (la scultura che dà il titolo alla mostra); in quest’ultima lʼartista induce lo spettatore a concentrare la propria attenzione su un gatto, posizionato sulla cima di un altissimo parallelepipedo bianco, che contempla la luce proveniente dalla lampada a neon sul soffitto. E anche in questo caso, si gioca sulla contrapposizione: tra la quiete sorniona di questo strano personaggio e il movimento, i suoni, provocati dalle opere vicine e lontane.
paola tognon
mostra visitata il 15 marzo 2012
dal 15 marzo al 14 aprile 2012
Michael Sailstorfer – Solarkatze
Galleria Zero
[exibart]
Laureata e specializzata in storia dell’arte, docente, critica e curatrice. Mi interessa leggere, guardare, scrivere e viaggiare, fare talent scout, ascoltare gli artisti che si raccontano, seguire progetti e mostre, visitare musei e spazi alternativi, intrecciare le discipline e le generazioni, raggiungere missions impossible. Fondo e dirigo Contemporary Locus.
Visualizza commenti
Nuvola di copertoni che ruota su un asse, microfono vicino ventilatore, gattino su base alta fino a guardare da vicino neon, video su pellicola con casina che respira e poi scoppia. Sembra che il giovane artista vada a citare e riprendere alcuni codici dell’arte povera (vedi gilberto zorio) per arrivare ad un atmosfera di sospensione e inquietudine. Della stessa galleria lavorano su i medesimi codici “poveristi” anche Micol Assael e, per molti aspetti, Andreotta Calò.
In fase di post-post-produzione il giovane attualizza e remixa codici già usati dai “vecchi”, quasi per farsi accettare in un “paese pensato per vecchi”.
Come non vedere nel gattino di Michael, l’abuso anni 90 di animali tassidermizzati -vedi lo stesso cattelan-?
Semmai molti non conoscono Zorio, Arte povera e Cattelan e la riproposizione del giovane ,per quanto subdola, diventa anche utile per rinverdire alcune intuizioni. Ma un certo sistema di critica e selezione non dovrebbe dare la libertà di arrivare altrove? Esattamente come il limite-vincolo del binario fornisce la libertà di arrivare ad altra meta rispetto la posizione del treno? L’ignoranza sana del pubblico giustifica la post-post-produzione?
Oggi la situazione è questa: la post-post produzione dell’artista realizza STANDARD (più o meno buoni, basta unire wikipedia a moussoscope) a questo si uniscono “relazioni” (chi sostiene lo standard?) e “luoghi” (dove viene presentato lo standard?).
La vera novità è che da qualche anno anche “relazioni e luoghi” faticano a fare selezione. E quindi il sistema per sopravvivere si comporta in due modi: si chiude e si protegge fra le mura della fondazione, del museo, dell’accademia o dello spazio no profit; o si apre in un grande carnevale caotico dove con “COSE A CASO” “tutto può andare” (padiglione sgarbi, ultimo progetto di Family Business di Gioni-Cattelan, Maloberti al MACRO, prossimo progetto di Bonami a Milano).
L’unica soluzione per contrastare la dittatura di “luoghi e relazioni” e per stimolare contenuti, finanziamenti e mercato è il confronto critico. Cosa che terrorizza perchè mette tutto in discussione e in italia fa subito venire i complessi di inferiorità del solito “bar sport italiano”; e quindi in italia non rimane che scimmiottare la scena internazionale, diventando copie -poco interessanti- degli originali e determinando l’assenza dell’italia dalla scena internazionale “che conta” (cit- Pier Luigi Sacco Flash Art..anche se non si sa più bene cosa conti anche quella scena). In italia complessi di inferiorità ed esterofilia sono all’ordine del giorno nel sisstema considerato “migliore” (giustamente perchè l’unico manifesto).
LR