Se i nonni ci hanno raccontato la loro adolescenza difficile, divisa tra guerre e dittature, i genitori, con fiera soddisfazione, ci hanno cresciuto con il mito degli anni ‘60, con la presunzione (anche lecita) di aver vissuto l’epoca della ribellione, della politica attiva e di un’arte che, sovvertendo la tradizione, creava modelli estetici e concettuali di cui ancora oggi “subiamo” le conseguenze.
Ecco che allora, visitando
Beatles ’68, non si può che rimanere abbagliati dalla potenza di quei personaggi, che a noi, generazione senza eroi, appaiono quali icone insormontabili. In meno di dieci anni di vita, il gruppo non solo compose alcuni dei capolavori del XXI secolo ma influenzò lo stile di vita di milioni di persone, diffondendo la beatlesmania. Di qui il senso di contestualizzarli storicamente nell’epoca del pop (la loro musica si rivolgeva a un target illimitato e conquistava tutti) e con uno sguardo alle fantasiose cover. Solo
Yesterday totalizzò infatti oltre tremila interpretazioni.
Al proposito, la mostra si apre con un confronto tra la copertina (a grande scala) di
Sgt. Pepper’s (‘67) con la coeva e meno fortunata
Their Satanic Majestic Request dei Rolling Stones e con
We’re only in it for the money (1968) di Frank Zappa, seduzioni dalla grafica Beatles documentate anche da un centinaio di rielaborazioni per il merchandising di industrie, case di moda e cartoon.
Tutt’intorno, su un cartone un po’ vintage, scorre l’allestimento di Nicola Marras, che illustra la scintillante ascesa dei
Fab Four attraverso articoli d’epoca e oggetti, tra cui il piatto della batteria firmato durante la prima tourné americana nel ‘64. Un collage degli avvenimenti e dei personaggi simbolo del ’68 (Martin Luther King, Kennedy e Nixon, la primavera di Praga…) accompagna tutto il percorso, così come le note dei più celebri pezzi.
Al piano superiore, l’attenzione si focalizza sulle esperienze cinematografiche del gruppo:
Magic Mistery Tour -bellissime le fotografie di
McCullin– e
Yellow Submarine, descritte attraverso una collezione di memorabilia. Tra le due, il frutto del controverso viaggio in India,
The White Album e, ancora, i film personali di
John Lennon (
How I won the war, 1967) e
Ringo Starr (
Candy, 1968). Infine, specchiandosi nell’immagine cult di
Abbey Road, si accede alla saletta video che proietta filmati, clip e servizi giornalistici.
La tipologia nostalgica di mostra trova corrispondenza nella scelta curatoriale di circoscrivere l’orizzonte temporale all’anno che sancì l’apice e l’epilogo di un destino messo in continuo pericolo dagli individualismi di John e Paul (si pensi all’antitesi fra
Strawberry Fields e
Penny Lane). Spunti per una riflessione bilaterale sulla precarietà del successo e sull’alchimia del momento.
Alcuni si divertiranno a riconoscere i propri oggetti di un tempo, altri forse si incuriosiranno. “
La musica”, diceva Oscar Wilde, “
crea un passato della cui esistenza eravamo all’oscuro”. Porta lontano, fa sognare e, soprattutto, sopravvivendo al tempo, permette a ognuno di goderne in modo del tutto personale.