New Young British Artists? Forse. James Putnam li ha presentati come
i nuovi eredi della Yba degli anni ‘90: molte sono le contaminazioni, ma in
Wonderland si respira una boccata d’aria
fresca, lontano dai toni spocchiosi e dall’imprenditorialismo serrato della
generazione precedente.
Sin dal titolo si allude a un Paese delle
Meraviglie, “
un regno magico che genera un universo di fertili possibilità
per l’immaginazione”,
e le aspettative sembrano confermate da una mostra che si dimostra coerente pur
presentando il lavoro di 14 artisti diversi per poetica, formazione, fortuna
critica.
Sono molti i legami con la tradizione figurativa,
così come restano di riferimento elementi tipici di molta arte inglese degli
anni ‘90, come la presa diretta della realtà o del proprio passato e il forte
interesse verso l’utilizzo di svariati media. Il tono è però radicalmente
cambiato e l’Inghilterra di Gordon Brown è confusa e instabile, oltre che molto
lontana dall’era del tatcherismo. Il bianconiglio frettoloso che aveva
catapultato gli Yba in guadagni da capogiro e vita dissoluta sembra essersi
arrestato. A regnare in
Wonderland è un tempo sospeso, ironico, malinconico, grottesco,
cupo, infuso di un’immancabile
britishness.
Alastair Mackie esplora il linguaggio scultoreo e
i diversi cicli di vita e morte della natura e del genere umano:
House è una sinistra casa di bambole,
interamente ricavata pressando alveari di vespe e calabroni, mentre
Untitled è una sfera di teschi di topi che
i gufi generalmente rigurgitano sottoforma di borre. Accanto,
Polly Morgan assembla un
Bouquet di uccellini imbalsamati, mentre
la franco-inglese
Alice Anderson dà forma alle memorie della sua difficile infanzia con i
video
The night I became a doll e Time Lag.
La memoria torna sulle cartoline di
Dear Hope di
Oliver Clegg, artista della scuderia Saatchi,
ospite della Gervasuti Foundation insieme a
Bridget Hugo nell’ultima Biennale di Venezia e
molto apprezzato dalla critica, come anche
Henry Hudson che, accanto ai suoi consueti
quadri con la plastilina ispirati a
Hogart, presenta una testa di resina nella quale si
scorgono lunghe ciocche di capelli scovate nella metropolitana di Londra.
Interessanti anche i modellini fustellati di
Sam
Buxton, gli
origami di
Tom Gallant, che lasciano intravedere riviste porno, il
Rembrandt candeggiato di
Boo Saville e l’ironica serie del
Professore alter-ego di
Stephane Graff, in asta lo scorso mese da
Phillips de Pury.
In tutte le opere esposte emerge una grande
capacità tecnica e un comune interesse per la dicotomia: realtà-finzione,
distorsione-creazione, vita-morte, quel doppio regime caro agli antichi per cui
l’immagine di una cosa implica necessariamente anche il suo contrario. Da non
mancare.