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fino al 14.V.2011 | Francesco Arena | Milano, Peep Hole

di - 9 Maggio 2011

Non dev’essere facile riuscire a parlare di anni così difficili e complessi come quelli racchiusi nel decennio 1968-1978, altrimenti conosciuti come i famigerati anni “di piombo”.

Non dev’essere facile riuscirne a parlare in modo originale, diverso, insolito. Già perché fra libri, saggi, inchieste parlamentari, processi infiniti, sceneggiati televisivi, film, soggetti teatrali tutto è stato già praticamente detto e tutto è stato praticamente ridiscusso, rivisto e risentito. Eppure, forse spinto da quel bisogno molto intimo di riuscire a comprendere davvero quel periodo, Francesco Arena (Brindisi, 1978) cerca con i suoi ultimi lavori di raccontarne sotto una nuova luce – grazie ai potenti riflettori di ogni creazione artistica – alcuni episodi chiave.  Certo immergersi in quel marasma tipicamente italiano è un’operazione delicata proprio perché trovare un linguaggio –  va da sé, fare arte vuol dire comunicare – adatto per una nuova epifania deve necessariamente essere un’impresa d’avanguardia. Osservando i tre  lavori presentati allo spazio Peep-Hole di Milano questo generoso sforzo non ci sembra completamente riuscito. L’opera dal titolo Da 8  a 9, dove una barra di bronzo ripropone visivamente la distanza che separa la casa di uno dei due attivisti del centro sociale Leoncavallo – freddati in una sera di Marzo del 1978  in via Mancinelli – dal covo delle brigate rosse di via Montenevoso, a Lambrate, non raggiunge l’obiettivo di  portare acqua all’articolato dibattito sulla tragica morte di Fausto e Iaio.

Sì, è vero: la vicinanza delle due vite è tale da far pensare ad una terribile connessione fra l’omicidio dei due anarchici ed il rapimento Moro – avvenuto il 16 marzo a Roma; ma questa è una tesi suggestiva già ampiamente trattata da Daniele Biacchessi nel suo libro “Fausto e Iaio” (pubblicato nel 2005).  Concettualmente parlando, fosse stato fatto nel 1979, quindi pochi mesi dopo il fattaccio, questo lavoro sarebbe stato dirompente; dal punto di vista formale invece sembra essersi staccato da una scultura di Pomodoro o sembra uscito dalle fonderie di Luciano Fabro. Perché raccontare oggi gli anni settanta con il linguaggio – e le forme, ed i materiali – tipico di quel periodo, se non è un’azione stravoluta e stracercata, produce un lavoro acerbo. Quest’attenzione totale per la misura – la barra pesa quanto pesa l’artista –  ci riporta poi alle linee arrotolate di Piero Manzoni od alle stanze misurate di Mel Bochner. Insomma, tutte cose viste trent’anni fa e persino già utilizzate dallo stesso artista in un lavoro del 2009:  in “18.900 metri su ardesia. Il cammino di Pinelli” su diverse lastre di pietra è stata incisa la misura del percorso che il ferroviere libertario coprì partendo dalla stazione Garibaldi fino alla questura di Milano in quel drammatico 12 dicembre 1969.

All’anarchico milanese Arena ha dedicato anche l’opera più suggestiva della sua mostra: in Occhio destro occhio sinistro troviamo sì ancora un’eco minimalista ma ci sembra che in questo caso l’uso di diversi linguaggi – scultura,  poesia visiva, installazione –  aiuti l’autore a creare in maniera più evocativa che descrittiva. Riproponendo le due diverse lapidi dedicate a quella tragica morte – una posta dagli anarchici, l’altra dall’amministrazione comunale – e mettendo in evidenza – isolandole – le diverse sintassi che nascondono una diversa interpretazione degli eventi – i  primi parlano di Pinelli “ucciso tragicamente”,  nella seconda le istituzioni ricordano un “innocente morto tragicamente” – la riflessione risulta più convincente.

Un’agenda aperta innaturalmente tramite delle piccole pietre su delle date-chiave per la storia d’Italia del 1978 – fra cui la sua data di nascita… – chiude infine questa piccola esibizione. Anche qui però il lavoro pecca in ingenuità e facilità non solo formale: i nostri calendari sono pieni di segni, disegni o simboli che ci aiutano a ricordare i nostri appuntamenti e momenti più importanti.

Concludendo: se la ricerca artistica assomiglia ad un’indagine vera e propria, rimaniamo in attesa  di veder crescere il nostro Francesco Arena, sperando riesca a trovare – nell’arte – strumenti nuovi, contemporanei, più adatti alla sua ed alla nostra età. D’altronde oggi gli investigatori per trovare le tracce dei criminali non usano più la lente d’ingrandimento, usano il “luminol”…

max mutarelli

mostra visitata il 22 aprile 2011

dal 6 aprile al 14 maggio 2011

Francesco Arena “Com’è piccola Milano”

Peep-Hole

Via Panfilo Castaldi 33 (zona Porta Venezia)

Orario: da martedì a sabato ore 15-19

Ingresso libero

Info: info@peep-hole.org – Tel. 3397656292 / 3385694112

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Visualizza commenti

  • Arena è uno dei principali esponenti della corrente "story story I lov Yu".

    C'è la tendenza ossessiva per i giovani artisti (italiani?) a proporre matrici e continue citazioni della storia: le riformalizzazioni di fatti di cronaca di Arena, i calchi dell'aula bunker di Biscotti, il momumento ai caduti del marmo di Andreotta Calò, il lavoro sulla Libia di Patrizio Di Massimo, memoria-scienza e glam-vintage di Angioletti, il richiamo all'opera fascismo-comunismo di Rubbi, ecc ecc. Direi una vera e propria ossessione citazionista che ha preso ormai anche i curatori e non solo. Come se il presente non potesse stare in piedi autonomamente, e come se la citazione potesse giustificare, legittimare e fornire interesse a prescindere. Come se la citazione e il passato fossero gli unici ingredienti per rendere "interessanti" le opere del presente.

    Sembra che i più giovani per essere accettati in un paese per vecchi si sentano costretti ad abbracciare una certa retorica arrendevole. Come criticare il recupero della memoria? La cosa è certamente corretta. Ma la reiterazione nel recuperare il passato senza risolverlo testimonia di uno stato di paralisi. Mentre la citazione storica diventa una sorta di gabbia dorata e rassicurante.

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