Citare il
topos della natura matrigna sarebbe troppo scontato in
riferimento all’opera di
Elizabeth Neel (New York, 1975), giovane artista rappresentata da
Jeffrey Deitch, recentemente coinvolta in una mostra sull’astrazione americana
da Saatchi a Londra. E che oggi approda a Milano da Monica De Cardenas con una
serie di opere recentissime, tutte datate 2008/2009.
È una pittura che gioca sulla “distrazione”
quella di Neel. In un incrocio di pennellate indipendenti – che talvolta si
concedono il lusso della geometria, senza la pretesa di raccontar nulla, ma
soltanto di essere – emergono miraggi di realtà, neanche troppo velati. Ciò che
sembrerebbe allora essere semplice astrazione si tramuta nell’idea platonica di
paesaggio. Le tinte acide impastate tra loro sulla superficie acquistano un
significato del tutto diverso da quello semplicemente tonale.
Il muso dalle fattezze preistoriche di un pesce, ad
esempio, fa capolino da un vortice di pennellate (
Sideshow, 2008). Il mondo che gli si
irradia intorno assume una valenza nuova. Si tramuta istantaneamente in un
ciclone di forze negative, nelle quali questi annaspa per sopravvivere.
Le sgocciolature che miscelano vigorosamente rossi e
grigi, neri e aranci, finiscono per raccontare un mondo di morte e sofferenza,
in cui la vita ha pochi appigli e diventa quasi irrilevante di fronte
all’immensità che la circonda, in un’atmosfera angosciante da fine del mondo (
Come
and Go,
2009). Nonostante l’allusione nel
titolo a un lieto evento, non risultano rassicuranti nemmeno
It’s a boy e
It’s a girl (2009), dove macchie scomposte di
colore, aggrovigliate su se stesse, lasciano intuire, ma non mettere a fuoco, i
contorni dell’immagine, scoraggiando il riguardante da qualsiasi forma d’indagine
e ricostruzione.
Più descrittivo è
Love Canal (2009), dove l’utilizzo di tinte
fosche lascia affiorare un gioco di trasparenze e atmosfere liquide, giochi di
luce e penombre, in cui la lussureggiante ma scomposta vegetazione, fatta di
alberi piangenti e fiori variopinti, lascia pensare a un
Ponte sulle Ninfee di
Claude Monet in versione dark, ma soprattutto
ad alcune opere dell’ultimo Monet, nel contempo vitaliste e crepuscolari.
Riconducibile a un immaginario tutto americano è invece
Raised
Ranch (2009
). Una “telecamera
ravvicinata” punta la facciata principale: ne riconosciamo le pareti
grigiastre, gli architravi e il portone rialzato, come recita il titolo. Mentre
lo spettatore pensa a
Robert Rauschenberg, Neel ha già appiccato il fuoco e avviluppato il
suo ranch in vampate di color arancio, in cui s’incendia ogni riferimento,
seppur inevitabile e calzante, come quello al maestro americano.
Così, mentre l’immagine va in fumo e si traduce in
“pura visibilità”, tra le nebbie delle sue pennellate, ora decise,
ora evanescenti, astrazione e figurazione si attaccano o si danno la mano,
collidono o armonizzano, in un gioco pittorico complesso, in cui è rinnegata
ogni qualsivoglia forma di ortodossia.
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