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Una giovane artista si confronta col tema fisico e
metafisico del vuoto. È una scommessa difficile, dati gli illustri precedenti
che, in anni di fertile e innovativa sperimentazione, hanno fatto di questa
riflessione il fulcro di rivoluzionarie creazioni e teorie estetiche. Basti
pensare a Yves Klein.
Ecco allora che le gabbiette in ferro, piccole e bianche,
senza alcun uccellino al loro interno, disturbano con un senso di déjà-vu. Un’intuizione non più originale
e resa con povertà di mezzi e d’immaginazione. Per non parlare della fotografia
con i palloncini colorati racchiusi in un altro gonfio sacchetto, in una sorta
di volontario furto del vuoto, che assurge a soggetto dominante dell’opera. Ma
qualcuno ha mai spiegato a Erica Fenaroli (Brescia, 1974) che i palloncini sono riempiti di
elio?
E ancora: il libro immacolato, con la parola ‘respira’
seguita da pagine bianche e poi dalla scritta ‘non respirare’, ricorda
tristemente esempi d’arte concreta, forse ormai fuori luogo in questo contesto.
L’artista bresciana dichiara di trarre in primo luogo ispirazione
da Samuel Beckett.
Uno scrittore, quindi, un grande drammaturgo, uno dei padri del teatro
dell’assurdo. E proprio i lavori che partono dalla letteratura sono quelli
riusciti meglio, poiché coinvolgono emozionalmente lo spettatore.
Fenaroli,
infatti, scrive racconti, pubblicati dalla Feltrinelli, per i quali ha vinto
diversi premi, e – muovendo dal suo verso “Ho giocato a palle di neve con
Dio” – costruisce
le opere maggiormente efficaci.
Nel bianco ovattato della sala che ospita i lavori site
specific è esposto il video dall’omonimo titolo, in cui la neve, in un
paesaggio di gelido e immacolato candore, scorre dal basso verso l’alto, nel
tentativo appunto di raggiungere la divinità dalla terra. Così la neve è
fotografata da una distanza ravvicinatissima e sembra sabbia brillante o
terreno luminoso, e il titolo Lucciole collega questi bagliori alle foto dell’insetto,
colto in ogni suo movimento, creando una sorta di concerto che rischiara il
buio della notte.
Ancora una minuscola foglia resiste su un ramo innevato. Sembra
una goccia che cade, una lacrima gelata dell’inverno che piange poeticamente la
morte apparente della natura.
metafisico del vuoto. È una scommessa difficile, dati gli illustri precedenti
che, in anni di fertile e innovativa sperimentazione, hanno fatto di questa
riflessione il fulcro di rivoluzionarie creazioni e teorie estetiche. Basti
pensare a Yves Klein.
Ecco allora che le gabbiette in ferro, piccole e bianche,
senza alcun uccellino al loro interno, disturbano con un senso di déjà-vu. Un’intuizione non più originale
e resa con povertà di mezzi e d’immaginazione. Per non parlare della fotografia
con i palloncini colorati racchiusi in un altro gonfio sacchetto, in una sorta
di volontario furto del vuoto, che assurge a soggetto dominante dell’opera. Ma
qualcuno ha mai spiegato a Erica Fenaroli (Brescia, 1974) che i palloncini sono riempiti di
elio?
E ancora: il libro immacolato, con la parola ‘respira’
seguita da pagine bianche e poi dalla scritta ‘non respirare’, ricorda
tristemente esempi d’arte concreta, forse ormai fuori luogo in questo contesto.
L’artista bresciana dichiara di trarre in primo luogo ispirazione
da Samuel Beckett.
Uno scrittore, quindi, un grande drammaturgo, uno dei padri del teatro
dell’assurdo. E proprio i lavori che partono dalla letteratura sono quelli
riusciti meglio, poiché coinvolgono emozionalmente lo spettatore.
Fenaroli,
infatti, scrive racconti, pubblicati dalla Feltrinelli, per i quali ha vinto
diversi premi, e – muovendo dal suo verso “Ho giocato a palle di neve con
Dio” – costruisce
le opere maggiormente efficaci.
Nel bianco ovattato della sala che ospita i lavori site
specific è esposto il video dall’omonimo titolo, in cui la neve, in un
paesaggio di gelido e immacolato candore, scorre dal basso verso l’alto, nel
tentativo appunto di raggiungere la divinità dalla terra. Così la neve è
fotografata da una distanza ravvicinatissima e sembra sabbia brillante o
terreno luminoso, e il titolo Lucciole collega questi bagliori alle foto dell’insetto,
colto in ogni suo movimento, creando una sorta di concerto che rischiara il
buio della notte.
Ancora una minuscola foglia resiste su un ramo innevato. Sembra
una goccia che cade, una lacrima gelata dell’inverno che piange poeticamente la
morte apparente della natura.
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Fenaroli a Brescia
vera agosti
mostra visitata il 20 ottobre 2009
dal primo ottobre al 14 novembre 2009
Erica Fenaroli
– Senza
NotFair
Gallery
Via Broletto,
26 (zona Castello) – 20121 Milano
Orario: da
martedì a sabato ore 15-19
Ingresso
libero
Catalogo
disponibile
Info: tel./fax +39 0289401707; mob. +39 3334257786; info@notfair.org; www.notfair.org
[exibart]
Una mostra davvero bruttina, opere sterili, senza forma,come dice l’articolo meglio che torni a scrivere racconti.
Esistono piccole stanze tutte bianche dove si incontrano piccoli gruppi di persone a parlare di assenze e presenze. Meno male. Credo proprio che Erica sappia che l’elio è un gas nobile. E credo anche che forme di critica così sterili e senza fondamento se non quello di sfoggiare eruditi accademismi siano il pilastro su cui poggia oggi purtroppo la inesistente, appunto, critica dell’arte. Che più che critica è maleducato tentativo di mettersi in mostra a scapito di persone che riescono a fare poesia senza necessariamente incanalarsi in correnti vecchie o nuove. Brava Erica, la tua arte è poesia pura. Per chi non sa vederlo non rimangono che parole buttate al vento… che pure è un’immagine bellissima.
La fotografia incriminata (quella dei palloncini) in effetti è poco gradevole in sè, per quanto possa essere un’idea….a me piace nel senso che esprime una solitudine profonda nonostante il palloncino sia sinonimo di festa, ma da qui a dire che la foto è 1 capolavoro…..- secondo me dobbiamo dire basta a una critica sempre commossa e celebrativa che accetta tutto compreso le “orrida” di certa arte contemporanea (non la Fenaroli ovvio che qualcosa di buono ha)
Inoltre l’articolo si chiude in modo molto positivo e attento ma…sarà mica arte quella gabbia vuota messa in un angolo che se non me lo diceva l’articolo neanche capivo cos’era!!!