Uno spunto nuovo che s’innesta su un percorso già
tracciato. È questa la spinta che conduce la Galleria Primo Marella a rinnovare
l’intenzione messa in atto con l’antologica
Post-tsunami art – svoltasi nei primi mesi
dell’anno -, ossia illustrare una sintetica panoramica su alcune delle
personalità che hanno saputo aprirsi una breccia nel mercato globale dell’arte,
provenendo da realtà defilate e in via di sviluppo.
Nell’attuale proposta della galleria viene così incluso
l’interesse più antico per il campo cinese, quello altrettanto consolidato per
le emergenti e “femminili” ricerche indiane e quello di più recente
acquisizione, che spazia fra le aree del sud est asiatico. Ad accomunare le
diverse scelte, l’esser già passati al vaglio di un’esposizione in galleria e
la partecipazione a recenti o in corso biennali d’arte (
Zeng Hao,
Liu Ding e
He Sen sono per esempio presenti al
Padiglione Cinese della Biennale veneziana).
Sezione distaccata dalla collettiva, l’ultimo nato
dell’indiana
Tejal Shah, progetto fotografico fra citazionismo, azione performativa e
riflessione amara. Rimanendo fedele alla fama che la vuole politicamente
impegnata nella difesa della figura della donna, rintraccia un efficace spunto
iconografico nella concettualità del famoso archivio fotografico realizzato da
Charcot durante gli anni di ricerca alla
Salpêtrière.
Una conoscenza visiva mediata dalla struttura teorica che Didi-Huberman costruì
sopra l’opera dello psichiatra francese nel libro
L’invenzione dell’isteria.
L’approccio è vincolante nel suggerire l’immensa valenza
simbolica che sprigionano le pose contratte e parossistiche delle efficienti
pazienti di Charcot, immortalate nella tensione immobile degli atteggiamenti
che dovevano conferire attendibilità scientifica alle descrizioni e alle tesi
del medico sui convulsi attacchi causati dall’isteria femminile.
Attraverso una serie di autoritratti, l’artista si fa
“attrice” e ricostruisce alcuni di quegli scatti tanto affascinanti nella loro
estetica artefatta di fotografie ottocentesche, tanto moderne per la loro
valenza performativa, quanto crudeli per il substrato di teorie e condizioni
sociali che andavano comprovando.
Riflessioni su tematiche sociali tornano poi in mostra con
alcuni lavori di
Reena Saini Kallat, già nota grazie a una recente personale in galleria, che insieme a
Chitra
Ganesh – e alla
sua mitologia orientale da
Giardino delle delizie in chiave pop – e a Shah
costituiscono il “nucleo indiano”.
Vecchie conoscenze tornano a rinfrescare la memoria sulla
situazione dell’arte negli arcipelaghi del sud est asiatico.
Alfredo
Esquillo,
Haris
Purnomo,
Ronald
Ventura ed
Entag
Whiarso sono
pittori in bilico fra perfezionismo accademico e licenze espressionistiche, ma
soprattutto fra desiderio di modernizzazione occidentalizzante e impossibilità
di prescindere dai dettami culturali del non più lontano Oriente.