Finalmente un progetto curatoriale che raggruppa artisti che affrontano sotto vari aspetti e con esiti diversi la tematica del tempo. Peccato che questo sia avvenuto con oltre trenta anni di ritardo. Basti pensare ad opere come la serie Today di On Kawara che per 48 anni, dal 1966, dipinse ogni giorno lo scorrere del tempo su una tela il cui unico elemento era la data in cui era stata realizzata; ai Détail fotografici di Roman Opalka in cui l’artista si è fotografato giorno dopo giorno nella stessa posa, con la stessa espressione e perfino con gli stessi vestiti dal 1972: solo il tempo a imprimere il cambiamento al suo volto.
Anche la mostra a cura di Gino Pisapia si incentra sulle modalità di rappresentazione del tempo attraverso cinque artisti Emanuele Becheri, Diego Caglioni, Elia Cantori, Cristian Chironi, Giovanni Oberti. Dalle loro opere emergono due aspetti del tempo: il tempo della creazione e il tempo della fruizione dell’opera d’arte.
Artisti come Christian Chironi e Diego Caglioni posano l’accento sul tempo inteso come archivio di dati. In Pubblic Messages i dati trascritti senza inchiostro con una vecchia macchina da scrivere appesa al muro da cui scorre un lungo elenco di stati personali di amici non sono più comprensibili perché decontestualizzati. Nothing è invece il tentativo fallace di recuperare i dati danneggiati di un hard disk contenente la completa produzione dei progetti e degli scritti dell’artista che si concluderà con la fine della mostra. Entrambe le opere mostrano l’impossibilità di raccogliere un’infinità di dati temporali, rappresentando un tempo più ciclico e circolare che proprio per questa sua natura sfugge.
In altre opere viene indagato il momento in cui il processo creativo diventa segno, congelando l’istante in cui l’attimo si trasforma in immagine. Il tempo diventa quello strumento capace di imprimere un cambiamento irreversibile alla materia.
Come nelle opere di Giovanni Oberti in cui l’azione del tempo è scandito dalla lenta evaporazione dell’acqua che opacizza la superficie dei bicchieri o dall’azione dell’aria che inevitabilmente segna l’annerimento dell’argento, intravediamo una concezione del tempo come fattore di obsolescenza dei materiali che in qualche modo lascia una traccia della sua presenza sotto forma di “impressione”.
Una carta fotografica impressionata dalla luce di una lampadina, delle ragnatele impresse su una carta adesiva, l’aura di un’opera d’arte rubata da Diabolik diventano tutte operazioni che hanno lo scopo di annullare il divario fra il tempo della creazione e il tempo della fruizione dell’opera e mostrano la sostanziale inafferabilità del tempo se non sotto forma di residuo o di frammento.
Non è un caso, forse, che l’unico mezzo capace di restituire la forma del tempo, cioè le immagini in movimento, sia intitolata Impression. Scopo dell’opera di Emanuele Becheri, in collaborazione con Grünewald, è stato quello di “impressionare” dal vivo i partecipanti alla mostra, nella duplice accezione emotiva e metaforica, coinvolgendo il pubblico all’interno di una performance musicale improvvisata il giorno dell’inaugurazione. La registrazione dell’evento diventerà l’opera vera e propria che dimostra come il tempo si esaurisca nella durata di chi lo esperisce. Tutto quello che rimane è una replica. O al massimo una testimonianza dell’immagine del tempo, cioè l’opera d’arte.
Sara Marvelli
mostra visitata il 30 settembre
Dal 25 settembre al 14 novembre 2014
L’immagine del tempo. Anatomie dell’immateriale
Artopia Gallery
Via Lazzaro Papi 2 (20135), Milano
Orari: martedì – venerdì 14-19