Dopo la personale di
Enzo Cucchi, il progetto
Atelier Bovisa vede come protagonista
Sandro
Chia (Firenze, 1946; vive a Miami,
Roma e Montalcino), altro illustre nome della
Transavanguardia. Il programma prevede una serie di incontri-workshop organizzati
all’interno degli spazi espositivi; prossimo appuntamento il 12 gennaio con
Eros
e Logos – creatività, neuroestetica e l’emisfero destro del nostro cervello.
Intanto va detto che la mostra di Chia è
imponente per poderosità di produzione. Sono centinaia le opere in mostra. E lo
si percepisce già all’ingresso, accolti da un’installazione di oltre settanta
quadri, che sembrano appunti di uno zibaldone quotidianamente aggiornato.
Quadri che sono frammenti, pensieri, disegni, immagini… Una sorta di caos
emotivo che precede e accompagna la creazione.
L’intera mostra è dominata da tinte di stampo
futurista, che moltiplicano all’infinito i profili dei volti, gli sfondi
geometrici, siano essi riverberi di luce o scacchiere di un eterno gioco di
forme e possibilità (
War Game,
Finale di partita). Occupa una buona
fetta dell’allestimento il lavoro metaforico
Istruzioni per l’uso. La
supercacciata dall’Eden.
E ancora, un intero corridoio è dedicato a
cinque grandi dipinti a olio che compongono la serie
L’enigma del volto. Del resto, è il
volto colto nel suo “voltificarsi” costante e improvviso a essere leitmotiv
dell’esposizione. Il volto e l’esasperazione di una molteplicità esperienziale
illimitata, infinita, anonima e difforme, eppure riconoscibile come un’emozione
allo specchio.
Non solo pittura, ma anche un ampio spazio
dedicato al design, in cui viene messa in relazione la visionarietà di Chia con
le ardite sperimentazioni di forme e materiali di
Cleto Munari. Emblematico in tal
senso il tavolo
Chia, composto dalle quattro lettere (appunto le due vocali e
le due consonanti del cognome) in formato gigante come gambe che sorreggono una
base in vetro, su cui sono esposti i disegni e gli schizzi dell’artista.
Mostra multimediale, si diceva, soprattutto
nell’area delle videoinstallazioni, che occupa il cuore dello spazio
espositivo. I
l buio in sala è rotto da un film che ripercorre il lavoro
artistico di Chia, più volte ribadito dalla scritta “disegno in divenire”. Il
che è una summa dell’intera mostra: l’arte è creazione costante, indagine sulle
cose, peccato ed espiazione, ricerca, azione, movimento, transizione, materia
plasmabile, colore in divenire. Nulla è fermo né statico. Ogni quadro è in
moto, come intende sottolineare il formato filmico, che libera le immagini
dall’apparente fissità.
È tutto un gioco metaforico, di cadute e
risalite, come l’angelo nero con una sola ala a latere e fuori del film. E
proprio “fuori del film” siamo anche noi, tutti spettatori, ognuno con la
propria costante
cacciata dall’Eden. E non ci sono
istruzioni per l’uso.
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NON E' UNA OPINIONE PERSONALE,
ma il risultato di un avvenimento salito alla ribalta della cronoca per volontà di chi intese coniare come "ritorno alla pittura"e predisporre tutti coloro disposti a produrre opere senza alcun valore di contenuti e valori formali, in quanto dette opere avrebbero risposto esclusivamente ai modi di propaganda e di sponsorizzazione stabiliti dal critico, che intese affermare "NON E' L'AUTORE CHE FA IL QUADRO MA IO"
Sono un autore anch'io che in seguito a questo misfatto chiamato"Transavanguardia"è rimasto nell'ombra, vedendo grandi autori più autorevoli dello scrivente e di generazioni precedenti finire nell'assoluto abbandono.
CHIA,Clemente,cucchi,Paladino abbiano il coraggio di riconoscere,per rispetto al critico che intese promuoverli,di dichiarare onestamente il loro fallimento produttivo che offende e declassa:arte,istituzioni scolastiche ad indirizzo artistico,cultura.
speriamo che la pittura italiana non sia ancora rappresentata da questo pittore seriale che è l'ombra di quello che è stato per una breve stagione
come l'eredità dell'arte povera pesa da un lato
quella della transavanguardia incombe dall'altro: c'è bisogno di nuove basi per le nuove esperienze non si puo continuare con questi esempi negativi
i guai della pittura italiana stanno in questi e altri casi , come quello del peggior Schifano ad esempio, che hanno diseducato pubblico e giovani artisti, generando oltretutto una sequela di galleristi di basso cabotaggio