Ha una missione,
Andrea Chiesi (Modena, 1966): esplorare il lato oscuro delle cose per farlo affiorare in modo del tutto positivo. Cercare l’assenza per mostrare “
quello che non c’è”, come direbbero gli Afterhours. Scandaglia il nero, Andrea Chiesi, partendo dalla sua purezza:
Nero era infatti il titolo della prima personale milanese da Corsoveneziaotto, nel 2005. A quella sono seguite
La divisione del piacere, con un occhio strizzato alla cupezza dark dei Joy Division, e
Kali Yuga, l’epoca oscura e conflittuale delle sacre scritture induiste.
Ora
Kryptoi, “
i ragazzi dell’antica Sparta che vivevano da antagonisti ai margini della città, vestiti di nero e dal cranio rasato”, come recita l’introduzione alla mostra. Una parola che in sé porta quella radice
kryptos che significa nascosto, sibilino, enigmatico, che fa subito abbandonare alla fascinazione del mistero.
A guardarlo, il pittore modenese sembra egli stesso uno dei giovani greci: i vestiti corvini, la testa glabra, lo sguardo sicuro: “
Io sono un pittore e sono mosso da un sentimento di irrequietezza, decadente, romantic-noir, da stati emotivi, da empatie”, scrive egli stesso. A parlare per lui, protagonista delle sue immagini, è ancora volta un edificio industriale dismesso, cupo abitante della periferia della città che lo ospita. Quadri impeccabili, che sembrano istantanee scattate dalla percezione dell’artista dello spazio vuoto. Interni che raccontano una storia, lasciati all’improvviso, ancora allestiti per le loro attività lavorative, repentinamente disabitati. Linee precise, figure nette che abbracciano tutto lo spazio della tela, composte, rigorose.
I contorni sono meno affilati di un tempo, le righe meno taglienti. E, per la prima volta, la tavolozza bianca e nera si apre a piccoli sprazzi di rosso, nell’ambiente asettico della fabbrica abbandonata: cartelli, porte, segni sul muro, messaggi di una nuova prospettiva, la riqualificazione.
Convertire i luoghi è il titolo del volume che accompagna la mostra. Non solo un catalogo, non propriamente un artist book, ma una vera e proprio dichiarazione e testimonianza d’intenti. Che racconta di posti, spazi, edifici esplorati e vissuti due volte: da siti di produzione a non luoghi inselvatichiti, in attesa di una nuova rinascita. I pensieri d’artista si fondono con progetti di riconversione: parole di architetti e immagini dipinte insieme, per giubilare la resurrezione e la nuova vita degli edifici.
Una mostra di rara bellezza e intensità, una
Black celebration, per dirla con i Depeche Mode. Che del nero conserva il fascino ma non la negatività.