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Fino al 15.IX.2002 | New York Renaissance | Milano, Palazzo Reale

di - 29 Marzo 2002

Il Whitney Museum non vuol essere un deposito dei capolavori del passato, ma sarà sempre aperto alle avanguardie. Queste parole, pronunciate dalla collezionista Gertrude Vanderbilt Whitney nel 1930, sono dedicate all’omonimo museo di arte contemporanea da lei fondato, uno dei più importanti degli Stati Uniti, e sintetizzano bene lo spirito della mostra ospitata nelle sale di Palazzo Reale.
L’allestimento di questo straordinario excursus sull’evolversi della cultura artistica americana inizia dagli anni ’50, momento di fortunata ripresa economica, per arrivare ai giorni nostri, avendo come denominatore comune la presenza di New York, centro catalizzatore e propulsore di tendenze e nuovi linguaggi espressivi.
Il realismo di Edward Hopper, qui in mostra con la solitudine meditativa del capolavoro Second Story Sunlight, è ancora frutto del legame con la cultura artistica europea.
Sarà solo negli anni ’50 che l’America riuscirà ad esprimere la sua voce originale con l’Espressionismo Astratto, un movimento in cui l’arte raggiunge le sue forme di espressione estrema, ed il colore diviene spesso un elemento più importante della forma. Artisti come Adolph Gottlieb, Robert Motherwell, Jackson Pollock (memorabile nel dripping Number 27), Mark Rothko, Richard Stankiewicz (qui con le forme assemblate del Kabuki Dancer), rappresentano le voci più schiette e impetuose di una città fatta di fermenti creativi spesso in contrapposizione fra di loro.
Con il sopraggiungere degli anni ‘60 la scena newyorkese viene sconvolta da un nuovo ed inaspettato cambiamento: preso atto che l’America è ormai irrimediabilmente sedotta dai beni di consumo, gli artisti se ne appropriano reinventandoli ironicamente come oggetti d’arte. Dopo i lavori di Jasper Johns (qui con l’icona Three Flags) e Robert Rauschenberg, che avevano incorporato nelle loro opere giornali ed oggetti di uso comune, ecco i feticci commerical-pop di Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Tom Wesselman, o la Soft toilet di Claes Oldenburg, dove a stento si trattiene la mano per saggiarne la finta morbidezza.
Non solo esuberanti icone-pop. Il rovescio della medaglia è costituito dalla Minimal Art che nello stesso tempo educa il pubblico ad un ritorno alla purezza espressiva e alle strutture primarie.
E così si procede per contrasti e voci diverse, in una concordia-discors che porta sino agli anni ’80: ai colorati graffiti metropolitani di Keith Haring (Altar Piece) e a quelli “etnici” e ricchi di citazioni di Jean-Michel Basquiat (Lnaprk); al kitsch di ispirazione dada di Jeff Koons.
Il pluralismo, l’idea di una diversità che è valore creativo, continua anche ai nostri giorni: lo si vede nelle ultime sale della mostra, in cui spicca il deserto esistenziale della geniale scultrice ultranovantenne Louise Bourgeois, con l’installazione Pink days and blue days: una semplice, ma incisiva riflessione sulla differenza fra i sessi.
Oggi la collezione Whitney, localizzata nel cuore di Manhattan, comprende 11.000 opere, per un totale di 1.700 artisti rappresentati: molti dei capolavori in mostra non erano mai stati esposti prima in Europa. Un atto innovativo e coraggioso, segno che i tempi sono cambiati e che si ha voglia di guardare avanti. La ricerca continua perché New York e l’America hanno bisogno di rinascere un’altra volta.





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Il sito della mostra
Il sito del Whitney Museum

Cinzia Tedeschi


New York Renaissance
Dal Whitney Museum of American Art
Dal 21/03 al 15/09
Palazzo Reale, Milano
Orari: martedì, mercoledì, domenica 9.30-20; giovedì, venerdì e sabato 9.30-23; chiuso lunedì.
Ingresso: intero 9 €, ridotto 8 €, scuole 4 € comprensivo di audioguida
Info: 02/54916
Visite guidate: Ad Artem 02/6597728, Ellesse Promo 06/70306080
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  • mostra stupenda, anche se non epocale. bellissimi i pezzi di pop art. accorrete numerosi!!!

  • La mostra è molto interessante, ho solo una serie di appunti da fare. per un neofita, 93 opere tutte diverse importanti e "complicate" sono troppe, dopo 2 ore si inizia a sbadigliare. il bookshop l'ho trovato troppo monotematico poco trasversale nell'offerta del merchandising: poche t-shirt e troppi pochi libri (numerosi solo alcuni titoli).

  • è vero,bella,molto bella la mostra che da qualche mese campeggia a lato di Piazza del Duomo..
    Eppure chi ha detto che è dispersiva, non è nel torto.
    Un florilegio un po' meno dettagliato avrebbe reso il tutto più vivace e comprensibile...
    a partire dalla quinta sala, infatti, l'attenzione declina per le troppe immagini accumulate.
    non bella quindi ma, belle sarebbero state le due o tre mostre che la notevole quantità di opere avrebbe potuto dar Vita.

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