Domenico Bianchi (Sgurgola, Frosinone, 1955) torna, dopo alcuni anni d’assenza. Con una nuova personale, dal tono tutto milanese. In galleria è visibile solo una scelta bilanciata, una cernita, volutamente limitata ad alcuni lavori recenti e a pochi altri più distanti, leggermente più acerbi rispetto ai primi. Entrambi i generi, sono così stati “rimessi” al pubblico di collezionisti e appassionati, secondo un accostamento libero. Acquarelli, tavole lignee e cere su tela, alle pareti, coprono un arco temporale/produttivo che riflette poco più di un decennio di creatività. Attraversando, infine, senza particolare spessore tematico, le modulazioni e i percorsi altalenanti dell’artista laziale. Le opere in mostra sono suddivise in base al formato, al supporto e agli scenari geometrici che esse portano e riverberano. Per questo motivo, i quadri e gli acquerelli sono stati esposti separatamente. In galleria, infatti, i lavori sono attualmente disposti su due piani diversi, seguendo gli andamenti astratti e i raggruppamenti formali suggeriti dall’uso delle diverse tecniche di composizione. Come seguendo le pareti di immaginarie sfere trasparenti, nella sala a pian terreno, Bianchi esaurisce, ricopre la tela, spalmando trame e orditi con la cera intiepidita. Cera lucida e plasmante, dapprima intagliata e poi, infine, sezionata da fogli di leghe metalliche. Segmenti, questi ultimi, che appaiono alla stregua di sezioni riflettenti, lune e nastri che si incastrano con la precisione della fustellatura e la pressione della goffratura, andando a stendersi ben all’interno dei livelli chiari di materia pastosa. La luce, quando capita fra le smagliature, rimane dunque incastrata, dando a vedere due differenti rese materiche. Il lucore metallico, infatti, dall’esterno, cattura e atterra, riverberando con facilità sulle superfici dermiche circostanti. Così facendo sullo sfondo si stagliano strati di cera compatta che catalizza l’intorno e che per questo non risultano mai perfettamente uniformi.
Questi due diversi piani strutturali, riuniti dentro la stessa opera, danno l’abbrivio a una doppia consistenza narrativa che racchiude in sè due passaggi, due materie. Due elementi dimensionali che hanno in comune la trasparenza modulare e il motivo a forma di globo. Il sigillo di Bianchi, quel pianeta monadico che inonda e conferisce un senso plastico, al quadro, come agli acquarelli su carta di riso. La luce diviene quindi per l’artista elemento di ispirazione e vettore di moto. Mentre la trasparenza della cera e della fibra di vetro, insieme alle sottili foglie dei metalli in essa affogati (oro, platino, argento e rame), suggeriscono all’artista l’invenzione delle forme, la variabilità del timbro dei colori e una nuova definizione degli spazi. Attraverso segni intagliati o graffiati, le opere che Bianchi espone si avvalgono anche del legno come superficie da scolpire, perché per l’artista sono importanti sia i materiali che fanno da supporto al colore sia la tecnica utilizzata per delinearne la struttura compositiva. Imponendo alla materia il timbro sempre più svagato di un riconoscibile, centralissimo, centro poetico.
ginevra bria
mostra visitata il 23 giugno 2007
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