La categoria estetica del Sublime, così come è stata teorizzata da Edmund Burke nel 1757, non è meramente una schematizzazione formale: piuttosto, è una forma del sentire, è uno status emotivo e psicologico. In equilibrio tra il Bello e il terrificante, tra il maestoso e il piacevole, sublime è tutto ciò che suscita un pathos struggente, assoluto, estremo. Che attrae a sé inesorabilmente, eppure sconvolge i sensi. Per questo, potentemente sublimi sono soprattutto gli spettacoli della Natura. Ma non soltanto.
In una doppia personale allo Studio Giangaleazzo Visconti, due giovani artisti si confrontano, ciascuno con la propria personalissima indagine, affrontando entrambi il tema della potenza, dell’estremo sentire visivo. L’una, Ilana Halperin, passando attraverso una profonda e quasi amorevole conoscenza fotografica dei fenomeni geologici e orogenetici. L’altro, Adam Putnam, sceglie di interpretare la razionale irrazionalità delle costruzioni architettoniche. In entrambi, con l’indagine visiva coesiste -calda e rassicurante, per quanto non immediatamente percepibile- la presenza dell’Uomo. Che avverte il sublime, ne subisce gli effetti psico-sensoriali, e talora contemporaneamente li provoca.
Ilana Halperin testimonia, attraverso una serie di immagini fotografiche gelidamente raffinate accompagnate da relativi disegni, dei magnifici fenomeni millenari cui vanno incontro i paesaggi della Groenlandia. Con tonalità acide e cromatismi sfumati, l’artista fissa sulla pellicola valanghe, blocchi di ghiaccio, iceberg, vulcani, carezzando l’idea illusoria di una natura amica, conoscibile e quasi controllabile. Le forme naturali si stagliano su cieli ora delicatissimi ora surreali, assumendo profili sovrastanti, contrasti imponenti, in un equilibrio sottile tra lo studio scientifico e la potenza estetica.
Contemporaneamente, Adam Putnam presenta una serie eterogenea di lavori che indagano la sublime estremità delle costruzioni architettoniche. Di qualcosa che viene creato dall’uomo, quindi: eppure, che sembra sfidare i limiti possibili dell’uomo stesso. Le architetture dell’artista sono solide, talora autoreferenziali. Sviluppate in un cromatismo caldo, che spazia dai marroni alle dominanti cupe del nero, le sue immagini a tecnica mista ricreano muri con mattoni a vista, costruzioni antiche, gradinate e scalini. Come quelli cui l’artista stesso è rimasto aggrappato durante l’inaugurazione della mostra, giù giù lungo una scala che scendeva nei sotterranei dello spazio espositivo. Sfidando i sensi umani fino al gioco dell’ultima sala, alla magia bambinesca e suggestiva della Lanterna Magica. Si tratta di una scultura luminosa tanto semplice da sfiorare l’ingenuità, che ricrea in ambiente buio una stanza in prospettiva, con un effetto ottico di tridimensionalità ludica. Poco lontano, ecco apparire inoltre un’illusoria scala proiettata sul pavimento, sorgere dal nulla come in una giostra per bambini.
Non è facile far convergere immediatamente due sensibilità a confronto tematicamente differenti come quelle presentate dalla galleria milanese. Se si mantiene come chiave di lettura il riferimento al Sublime, è effettivamente possibile rintracciare un filo conduttore che le accomuna, per quanto forse di non diretta fruibilità. Al di là di questo, basti godere della qualità dei lavori: a tratti privi di un vero impatto originale, ma dotati di una forza suggestiva che continuamente si autoalimenta. E, in fondo, non è poco.
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barbara meneghel
mostra visitata il 4 giugno 2007
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