Le fotografie di
Erica Fenaroli (Brescia, 1974) sono sospese in una sfera spazio-temporale che basta a se stessa: in un momento indefinito dove le tenebre iniziano a divorare il giorno e i paesaggi si riducono a contorni lineari, oscuri personaggi scrutano imperturbabili il divenire degli eventi senza farsi scoprire, in attesa di un tempo che non passa mai.
In questa prima personale presso gli accoglienti spazi di Citric s’intrecciano due visioni, quella infantile e quella poetica, che dalla notte dei tempi catalizzano l’attenzione di artisti e narratori. Ossimoricamente parlando, la chiave di lettura sta tutta nel titolo della mostra,
Dear Darkness. Se da una parte l’oscurità è invocata con la dolcezza trasognata di derivazione fiabesca, dall’altra il contrapporsi di una parola diametralmente opposta all’altra incute quel timore che si scatena nei confronti di qualcosa d’inaspettato. Perché le tenebre appartengono al mistero e spaventano, come l’infittirsi dei boschi nelle fiabe per bambini.
Per Fenaroli, invece, il punto di vista è ribaltato, e la
cara oscurità appare più simile a quella del ventre materno, che protegge e non fa paura. La notte è il contenitore dell’elemento onirico e dei misteri delle anime che la popolano, spiriti mitologici che osservano e raccontano, come in una ninna nanna vichinga e divina, le vicende del mondo, e che talvolta calzano scarpe di lana per avvicinarsi senza lasciare alcuna traccia del loro passaggio terreno (
Once upon a forest, 2009).
Il buio può poi materializzarsi per stimolare gli istinti bestiali assopiti, che amplificano i sensi alternativi alla capacità visiva: così, sfiorando il
Concerto di Lucciole (2008) impresso su infiniti fogli di cartone, l’assenza di luce è immaginata e le presenze scintillanti si manifestano chiudendo gli occhi e guidando la mano a sfiorare protuberanze braille, composte come uno spartito musicale celeste. Solo osservando le
Lanterne Magiche (2009) che invadono la notte dell’ultima sala, e che racchiudono il desiderio d’innalzare ideali e speranze verso una volontà superiore, la luce riprende il sopravvento.
Nel complesso, il lavoro di Erica Fenaroli è un percorso che si snoda nella dimensione del sogno e segue il ciclo ritmato del compiersi dei giorni. Un intervento complesso e maturo, anche se, in alcuni passaggi, si avverte una leggera insicurezza e una mancanza d’omogeneità nel filo conduttore, necessario ad amalgamare armonicamente gli elementi che compongono questo suo primo intervento, seppur promettentissimo, da solista.
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...Continuiamo a perseguire queste stradine ruffiane e spuntate su interminabili deja-vu. Inizio anche a temere per un "collezionismo demente".