Dall’11 ottobre, la Camaver Kunsthaus ha una nuova sede espositiva nel cuore della Brianza. Orientata verso un’arte essenzialmente plastica di tipo figurativo, proporrà artisti strettamente contemporanei, sia affermati che giovani tutti da scoprire. Marcello Cazzaniga, direttore artistico, spiega che aprire una galleria lontano dal centro storico di Monza significa rinunciare ad un prestigio nominale immediato, ed incominciare un percorso difficile. La volontà è quella di un’apertura totale, anche a costo di qualche rischio. Cazzaniga potrà far circolare le proprie proposte in un ambito internazionale: esistono infatti già due sedi, una a Parigi e una a Boston; una terza è in fase di realizzazione a Berlino. Agenda: dal 16 novembre è prevista alla Camaver Kunsthaus una personale di Gianluca Sgherri; in futuro troverà spazio l’iperrealismo di Frank Bauer. Tuttora in corso una personale dell’artista torinese Pierluigi Pusole cui abbiamo posto alcune domande.
In cosa sei debitore alla figurazione?
Cominciai a dipingere quindici anni fa e allora la mia era figurazione, ma non intesa in senso classico, mutuata da altri mezzi espressivi come la televisione e il fumetto. Dai primi anni ‘90 il rapporto con la realtà è mediato dalla memoria. Non parto dalla fotografia ma da un’idea di paesaggio; si tratta quasi di un rapporto conflittuale: il soggetto è immerso nella natura ma tenta di sottrarsi per non subirla. Non si tratta però di astrazione; sento comunque la necessità di un orizzonte come ancoraggio.
Nella tua pittura si nota una spoliazione progressiva dai primi lavori, una sintesi…
Io definisco la mia pittura “anti-naturale”. È un po’ come una partita a scacchi: con pochi elementi discreti si hanno infinite possibilità di combinazione. Nella pittura esiste l’incognita dell’esecuzione: un segno anche se ricorsivo in pittura non sarà mai uguale a se stesso. La manualità è fondante nella pratica pittorica, realizza la variabilità del segno. Se la natura è un sistema monolitico e finito, la pittura, e la cultura, sono sistemi artificiali complessi. L’occhio è abituato all’artificiale. Ho espunto gli elementi caratterizzati, per mostrare che il rifare, basandosi su pochi elementi, incrementa l’informazione che fa progredire la conoscenza del sistema complesso.
In questo, che ruolo hanno il tratto a matita e il colore?
La matita ha sia un ruolo preventivo, come bozza da cui poi trarrò il lavoro finito, sia interagisce nel lavoro per creare un effetto prettamente pittorico. La matita è una texture che nel quadro non ha più un legame con la bozza ma ha valore formale: metto in contrasto terra e cielo, in questo le trame, i reticoli del cielo aumentano l’anti-naturalità; un po’ come il fondo oro nel Trecento. Così il colore: non lo uso in modo classico, non ha valore simbolico. Mi interessa di più l’impatto visivo, sono curioso dell’effetto che un singolo colore può produrre. Il giallo per esempio rappresenta quasi un ostacolo alla visione. A questo si somma il ruolo dello spazio bianco che ha il compito anche di delineare masse inquietanti all’orizzonte.
Gianni Romano ha sottolineato l’aspetto performativo della tua pittura…
La velocità, il gesto non sono aspetti fondanti della mia pittura; non bado alla performance ma piuttosto al risultato. Dipingo per cicli, tra i quali metto dei punti fermi: essi sono imparentati ma diversi come approccio. Un insieme di lavori mi interessa di più che il lavoro singolo. La spontaneità non fa parte della mia ricerca, la mia è una progressiva acquisizione di metodo, una pratica scientifica.
Tutti gli ultimi lavori si intitolano I.S.D. “Io sono Dio”. Perché?
Io sono molto religioso, non pretendo di essere Dio, ma di confrontarmi con lui. La mia pittura non è una riproduzione della natura ma una creazione, una pratica religiosa che pone delle domande sul reale, ma che dovrebbe condurmi anche a delle risposte. Un’indagine che mi pone in maniera critica rispetto al dominio naturale. Io sono il primo destinatario della mia pittura: con essa tento di incrementare la mia consapevolezza. Riproduzioni fotografiche e testi critici amplificano il senso dell’opera. Ma io dipingo per me, sono Dio di me stesso.
Niccolò Manzolini
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una bella intervista, complimenti per gli ottimi quadri che si vedono nell'articolo.
Pusole sei sempre il migliore.