David Ter-Oganyan (Rostov, 1981) ha deciso di abbandonare, anche se solo in parte, le provocazioni che gli hanno valso l’etichetta di
“esponente di un’estetica del sospetto”. Nonostante compaiano ancora immagini tratte da episodi di violenza urbana, in cui si susseguono manifestazioni di piazza e scontri metropolitani, le provocazioni della sua precedente personale alla Prometeo sono state sostituite da una riflessione più intimista sullo stato di legittimazione dell’opera d’arte, soprattutto del disegno. Nelle nuove stampe su tela -in cui sono riprodotti alcuni schizzi eseguiti su comuni blocnotes, come s’intuisce dalla tipica quadrettatura- l’artista riflette sull’importanza della trasposizione in scala maggiore di un disegno nato come scarabocchio piuttosto che come opera d’arte.
Scale 50:1 propone così una visione differente del rapporto fra l’artista e i suoi stessi lavori che, creati senza alcuna pretesa di aulicità e unicità, riescono ad amplificare la propria portata solo grazie alla loro esatta replica ingrandita.
Sfruttando le potenzialità insite nel disegno, Ter-Oganyan tratta quest’ultimo come
“pura illustrazione di un’espressione, di tensione, di passività del movimento, che non implica il fermarsi”. Lo schizzo diventa la cristallizzazione, per frammenti e senza connessione logica, di ciò che ancora confusamente l’artista intuisce che accadrà in futuro.
Se Ter-Oganyan propone allo spettatore un salto di scala attraverso le immagini, con il video
Drawing is hard Sasha Galkina (Mosca, 1982) lavora nella stessa direzione, coinvolgendo però il senso dell’udito. Il rumore della punta di un pennarello, col quale l’artista traccia infantili disegni su un blocco di fogli bianchi, invade fastidiosamente lo spazio della galleria. L’inquadratura è fissa sulla mano di Galkina che disegna. Scelta che contiene implicitamente una critica al ruolo ufficiale dell’artista, oggi sempre più malato di protagonismo, e all’artificialità del sistema dell’arte contemporanea. Il pubblico, percependo l’assordante stridore, ha la sensazione di esser minacciato da qualcosa di non meglio precisato, che rimane sospeso nel tempo, in attesa di uno sviluppo imprevedibile.
Come gli schizzi di Ter-Oganyan, anche le immagini di Galkina acquistano forza nella loro semplicità e immediatezza, contrapponendosi ai canoni della gerarchia di potere che manipola il consenso all’interno dell’attuale mondo artistico. Il disegnare, infatti, è trasformato concretamente in un’azione difficile da compiere, dura da assimilare. Utilizzando gli stratagemmi dell’ingrandimento, della trasposizione su tela e dell’amplificazione del suono, conquista autonomia e legittimità.