Tre
dimensioni in due. Sono sufficienti la giustapposizione dei colori e l’incastro
fatale di irregolarità geometriche perché
Serge Poliakoff (Mosca, 1900
– Parigi, 1969) renda la sua ricetta di astrazione dal sensibile e ponga il
proprio timbro sopra un visto che porta a nuove dimensioni.
Cittadino
del mondo, pittore per fatalità, Poliakoff si trova oggi al collo la medaglia
di artista amato da
Kandinsky, una forma di garanzia postuma che
sembra di suo sufficiente a certificarne acume e profondità d’intuizione.
Eppure sono altri i nomi che vengono in mente percorrendo la trentina di lavori
che propone Lorenzelli Arte, certificando gli ultimi tre lustri della sua
produzione, nella commemorazione della prima personale italiana (50 anni fa) e
della scomparsa dello stesso artista (40 anni fa).
Il
primo nome:
Rothko, che ci sentiamo di scomodare sì per l’affinità di un
certo sentire cromatico ma, soprattutto, per conflittualità plastica. I due,
pressoché coetanei, hanno sviluppato in parallelo un’indagine sulla forma
dell’astrazione che è interessante guardare sotto lo stesso filtro: quello
dell’esplosione dimensionale. Così, mentre uno spingeva con le grandi
dimensioni e le spatolate orizzontali verso l’esterno, l’altro si trovava a
trattare la tela come un imbuto, nella convergenza di linee e forme in un
vortice indefinito, un buco nero.
Paesaggi
intimi, quelli di Poliakoff, cartoline degne di un apolide. Materie grasse,
pesanti, a tratti rabbiose, a tratti scarnificate. Eppure regolate in una
costruzione rigorosa, quasi scientifica. La riproduzione di un ordine
lentamente evocato, magicamente intuito.
Altri
nomi vengono in mente.
Delaunay, ad esempio, e intendiamolo al
plurale. Con la coppia di artisti, Poliakoff condivide a tratti l’innato e insano
gusto per un colore che, alla
Malevic, diventa linguaggio espressivo
preferenziale, apparentemente esclusivo. Il rifiuto per la linea pura sembra
certificare ogni taglio con l’idea di forma, là dove assistiamo invece a una
sua re-invenzione.
Opere
importanti – le ultime battute da Christie’s viaggiano tranquillamente sopra le
sei cifre – che dimostrano la capacità sintetica di Poliakoff. La sua geometria
sghemba, anti-euclidea, si allontana dall’astrattismo degli angoli retti; la
sua virile confidenza con la tavolozza si rivela in fondo gentile, aliena agli
eccessi di un
Pollock o di uno
Hartung.
Lavori
ricchi e complessi, difficili e insieme immediati; tanto carichi da sembrare
implicite risposte al
Fontana che nel 1960 si felicitava per aver
ottenuto “
la morte della materia”. La materia, in Poliakoff, è viva
e vegeta.