La mostra si svolge nelle due ormai storiche sedi milanesi per l’arte contemporanea: il Palazzo della Triennale e il PAC e ospita le opere di 120 artisti europei scelti da un pool di 20 curatori coordinati da Alessandra Mottola Molfino e Lucia Matino. Giorgio de Marchis ha eseguito il progetto e il regolamento della mostra, basato sulla scelta di artisti nati dopo il 1950 e di lavori prodotti negli ultimi vent’anni. Inoltre ci sarà un premio di cinquanta milioni per l’artista più votato dal pubblico in visita alla mostra. Gli artisti non sono divisi per nazione di provenienza, bensì giustapposti in una mappa libera, articolata e complessa, creata dalla sensibilità dei diversi curatori europei in reciproco confronto progettuale.
Orientarsi nella ricchezza e molteplicità delle proposte artistiche non è affatto facile, interpretare i diversi livelli di lettura, che ciascuna opera mette in gioco, richiede del tempo e forse più di una visita ai luoghi di una mostra, che presenta i caratteri dell’evento. La mostra infatti costituisce l’importante incipit d’un progetto teso alla creazione del Museo del Presente alla Bovisa, tanto che le opere del PAC, che venti artisti sono stati chiamati a realizzare per quest’occasione, costituiscono il primo nucleo del futuro museo, non solo, ma la mostra intende essere motore di forze sinergiche che colleghino la città e le gallerie private alle istituzioni. Il White Bus, l’autobus bianco del polacco Althamer e i fuochi artificiali dell’inglese Cornelia Parker, ridisegnano e connotano “artisticamente” gli spazi urbani, mentre le gallerie propongono percorsi conoscitivi al proprio interno per i primi tempi della mostra.
Proprio al PAC, dove sono collocate le opere commissionate e finanziate dal Comune di Milano, si può tentare di enucleare atteggiamenti e percorsi artistici poi riscontrabili nel più variegato Palazzo della Triennale. Spesso lo spettatore è chiamato ad interagire con l’opera, posto in situazioni di percezione insolita e stimolata, come nell’opera dello spagnolo Francisco Ruiz de Infante “Explicando colisiones”, dove lo spettatore entra in uno spazio multiplo con video, rumori e mappe di collisioni seduto su seggioline a rotelle o come in “Flower 2001” creato da Federico Díaz, della Repubblica Ceca, dove lo spettatore, percorso un corridoio nero, approda in uno spazio dove è proiettato un amalgama tondo in 3D, animato dal suono della nostra voce e dalla nostra immagine che levita deformata e instabile in questo “brodo computer grafico primordiale”. Più classicamente l’”Ellipse” di plastica gialla della francese Fabien Lerat, invita ad entrare in una specie di protettivo parcogiochi d’una mitica infanzia, mentre il faccione del cartellone fumettaro del belga francese Johan Muyle intitolato “Qu(ch)i mangerà, vivrà” invita lo spettatore a tirare un meccanismo facendo spalancare gli occhi del ritratto. Un atteggiamento diverso, meno legato alla stimolazione ludico, percettiva e riflessiva dello spettatore, quanto volto a problematizzarne i rapporti col mondo d’una società globale e mediatizzata (nel senso che è percepita attraverso i media, principale fonte d’informazione) è quello che caratterizza artisti come l’austriaco Rainer Ganahl, che in “Il linguaggio dell’immigrazione” mima un reportage televisivo con interviste agli immigrati ebrei di New York, collocando a latere foto degli spazi dove vivono. Simile è la problematica legata all’opera dell’islandese Thorvaldur Thosteinsson, che nel video “The most real dead” mostra giovani normali in ambienti normali, in situazioni per lo più collettive, che dopo uno still di alcuni secondi muoiono per finte mitragliate; così sono percepite le immagini di violenza attraverso i mass media. Dalla comunicazione di contenuti sociali si passa ad un atteggiamento diverso, riflessivo ai limiti dell’astrazione nelle installazioni con video e foto di Luisa Lambri, dove particolari realistici di edifici vengono ingigantiti tanto da apparire surreali, mentre riflessivo nell’isolamento d’un elemento come il rumore della città, nella direzione dell’installazione ambientale, è l’operare dello svizzero Hans Ulrich Obrist, in “Viaggio d’Acqua, la doccia” tratto da “Rumor city (Città delle voci)”, l’opera che si trova fuori, all’entrata del PAC è costituita dall’enorme serpentone curvilineo d’una doccia da cui escono i rumori della città contemporanea.
Gli artisti finora analizzati non esauriscono certo l’ampio spettro di problematiche affrontate attraverso i linguaggi della contemporaneità, ma ne costituiscono una traccia, ritrovabile e ulteriormente declinabile al Palazzo della Triennale. Sul versante dell’arte come comunicazione, denuncia sociale e svelamento dei suoi meccanismi di potere stanno artisti come l’inglese Gillian Wearing o l’artista polacco Zbigniev Libera, fino ai più sofferti artisti dell’ex Jugoslavia. Il corpo, “naturale” come nelle fotografie del francese Jean-Luc Moulène o stilizzato come in Opie è tema che diventa di bruciante attualità nella videoinstallazione della polacca Olga Zebrowska, dove un corpo ermafrodito, artefatto inquietante è opera d’una transgenesi in atto.
Le soluzioni sono molteplici, rispecchiano la diversità degli approcci personali, all’interno d’uno schema di riferimento culturale alquanto omogeneo, nonostante le diverse declinazioni storiche e politiche dei diversi paesi rappresentati in mostra. La dissacrante e divertente videoinstallazione “Genetic Gymnastics” dei russi Vladislav Efimov e Aristarckh Tchernyshev, che gioca con un uomo futuribile e con la scala d’un DNA fatto di polli spennati coesiste con l’evocativa installazione ambientale intitolata “Love sounds” e composta di parallelepipedi fatti con un materiale reagente alla luce come l’alabastro, abitabili e sonori dello spagnolo Jaime Pensa. Sarà l’attitudine dello spettatore, la sua adesione ad un approccio del mondo piuttosto che ad un altro, a scegliere, all’interno d’un sistema molteplice e non frammentato, decodificabile perché, pur nella “diversità delle tecniche”, il linguaggio o i linguaggi che qui vediamo sono i segni del nostro quotidiano comunicare e sentire.
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