Oltre sessanta ritratti di grande formato mettono in scena gli ultimi tre ambiziosi lavori di Gérard Rancinan (Talence, 1953) che, insieme alla curatrice Virginie Luc, si è lanciato nei meandri dell’animo umano. Lui, grande fotografo che nel corso della carriera ha immortalato personalità epocali. Lei, giornalista che da anni lavora al suo fianco, dando voce alle immagini attraverso le sue interviste.
Tre i lavori indipendenti, oggi presentati in un’unica Trilogia: una riflessione commossa e sentita che assume i tratti di un’esperienza iniziatica. Un viaggio che indaga pulsioni umane e paure latenti e, nel suo tumultuoso corso, dà forma a una complessa dichiarazione d’amore per l’uomo e per la sua condizione. Qui Sacro e Selvaggio diventano i simboli del mistero e dell’ignoto che, volenti o nolenti, fanno parte dell’esperienza umana e ne costituiscono quell’intimo senso del “tragico”, di cui i protagonisti di ogni serie diventano icona. Inizia il cammino e noi iniziamo a sentire una morsa che stringe; guardiamo le nostre certezze che si frantumano al suolo, incalzate dai loro interrogativi.
Sacro selvaggio è l’artista. Prima “tragedia” della trilogia è Art à mort. Protagonisti dei ritratti sono esponenti dell’arte contemporanea che vivono l’assurdo sul proprio corpo mettendo in scena una vera e propria performance, che assume i tratti di un rituale purificatore. Artisti che infrangono i canoni dell’estetica e catapultano in una realtà dura ed estrema. Perché sembrano dire che è la realtà stessa ad essere crudele. Attraverso l’arte queste paure diventano universali, condivisibili, tentano di essere “istituzionalizzate”. All’esperienza normale sostituiscono una realtà alternativa che investe chiunque ne partecipi. Una realtà che è sì esasperata ma non è poi così distante, è altrettanto vera e concreta.
La performance nasce allora per essere simbolo e icona di questo mistero, dell’assurdo del vivere umano. Non esistono certezze ma solo possibili letture. Qui sta il senso del tragico e gli artisti mostrano le loro rivoluzioni. La loro performance è infatti “Azione” pura, che scarica le tensioni anche se sarà seguita da una condanna, anche se il finale resterà ignoto. Vediamo allora il toccante ritratto di Marina Abramovich, immortalata nel suo studio. È riversa per terra, imbrattata di sangue e circondata da ossa animali e coltelli. Ma il suo volto guarda lo spettatore con un’espressione candida e appagata. Con questo stesso tono leggiamo il monito che lei stessa ha scritto alle sue spalle col sangue. “Art must be beautiful artist must be beautiful”. Poi ecco Damien Hirst, che tiene al guinzaglio una coppia di scheletri di levrieri o Jan Fabre che mangia un piatto di coleotteri. Dall’arte, che è pur sempre finzione, Rancinan scaraventa nella realtà.
Sacro Selvaggio è il Diverso. Che lotta per farsi accettare. Perché fa paura e inquieta chi si “riposa” sui canoni rassicuranti della normalità e, ora, si chiede “che senso ha la vita?”. Qui troviamo in posa due gemelline identiche che ci insegnano che la differenza comincia dalla somiglianza, o la donna barbuta, che ha trasformato il proprio difetto in virtù. Sacro Selvaggio, infine, è anche il rapporto dell’uomo con la spiritualità. L’ultima tappa del viaggio è dedicata alla Fede. Rancinan ha ritratto le più influenti personalità del clero, che nel 2004, anno in cui fu realizzata la serie, erano possibili candidati al soglio pontificio. L’intento è tutt’altro che dissacratorio. Personalità, tra le quali l’Arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi e il Patriarca di Venezia Angelo Scola, sono ritratte prendendo a modello gli antichi dipinti di Diego Velázquez. I loro occhi tentano di bucare la carta patinata in cui sono stati bloccati, per comunicare con l’uomo.
La tensione espressiva giunge al massimo nell’ultima sala, con un altro scatto della serie Elogio della diversità. Ad attenderci è l’attore privo di gambe Harvé Paillet che tiene in braccio la figlia neonata, in un’iconografia che ricorda le rinascimentali “Madonne con bambino” assise in trono. Questo l’epilogo di una grande esposizione, documentata al meglio nel catalogo, parte essenziale della mostra stessa.
silvia criara
mostra visitata il 25 giugno 2007
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