“Simboli, miti e leggende ricordano che noi esistiamo e che viviamo per fare storie. Racconti che poi riescono a sopravviverci e a parlare per generazioni e generazioni. Anche senza di noi, senza cambiare le metafore racchiuse al loro interno”. Così risponde il laconico Stephan Balkenhol (Fritzlar, Germania, 1957) quando gli si chiede di spiegare cosa intenda per “eroi-del-quotidiano”. La conferenza stampa deve ancora cominciare. Negli spazi del PAC c’è solo silenzio e attesa. Lo scultore tedesco è ombroso e vagamente introverso. Per natura. Balkenhol sta completando l’ultimo giro tra le sculture, accompagnato da una giovane assistente e da un giornalista. “Scolpire è ogni volta andare oltre le mie capacità, anche se poi, dopo poco, diventa un qualcosa che va da sé”, così risponde l’artista quando gli si chiede di definire cosa rappresenti per lui un giusto compromesso tra Moderno e Contemporaneo. “Solo in un secondo momento scolpire torna ad essere una parte naturale dell’esistere umano. Senza diventare per questo un
La scalfittura caratteristica dei soggetti di Balkenhol è un segno inconfondibile. Un marchingegno distintivo che permette di lasciare il legno, la materia solida, sul bilico della permanenza. Evitando di incappare nella compattezza esatta del reale, figurativo e concluso. Subbie e subbielli di grosso calibro donano alla superficie di volti, corpi e gesti un tratto cubista. Un movimento smosso della materia in sé, sempre pronto ad accomodarsi meglio. Ad uscire del tutto. Un tratto questo che sembra supplire alla staticità espressiva dei lineamenti e delle fisionomie antropomorfe. Le parti lasciate scoperte, ovvero senza colore, fanno emergere l’anima dendritica e filamentosa del legno, a diretto contatto con la pelle -umana- delle sculture. Volumi nudi e non-finiti sotto l’occhio di chi le guarda. Mentre le palafitte, le basi geometriche e lisce sottostanti, isolano dal basso la folla in miniatura, sempre sul podio. Ogni sagoma di uomo, donna, animale o ibrido rimane sorretta e compartimentata dal proprio piedistallo. Spessori questi che impartiscono allo scultore un limite ben preciso. Nonostante Balkenhol professi la sua totale libertà e padronanza. “Sono io che scelgo quando finire una scultura, non è né il legno, né la rappresentazione dei soggetti a suggerirmi quando smettere di scalpellare”. Nel frattempo, attorno, coppie di uomini e donne ballano bloccati dal legno. Giocatori di calcio si muovono in equilibrio sulla loro minuscola area di gioco. E un enorme Icaro è steso a terra con le ali spiumate.
Dalle pareti, poi, si staccano bassorilievi di paesaggi e di volti in primo piano. Viene da chiedersi se la rigidità dinamica e l’inflessibilità prossemica dei soggetti non sia che una forma di scambio. Una moneta con la quale ognuno di loro accetta l’inquietudine di tutte le sfaccettature, sempre ben visibili addosso.
ginevra bria
mostra visitata il 6 luglio 2007
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