Si tratta di un lavoro interessante, realizzato ad olio su tela e retina metallica, che concilia arte e lavoro riconducendoli all’originario e comune ambito della tékne. E Lavoro e lavoratori nell’arte 2001 è, infatti, il tema scelto per quest’ultima edizione del Premio Suzzarra. Un titolo significativo perché costituisce anche un tributo alla storia stessa del premio: fu intitolata così anche la prima, storica edizione, quella del 1948, ideata da Dino Villani e Cesare Zavattini.
Era il tempo in cui alla Biennale Marchiori presentava il Fronte Nuovo delle Arti e Suzzara non rimase insensibile a quegli ideali, antifascisti e vicini al mondo dei lavoratori e degli operai, documentando con grande impegno la corrente neorealista che si impegnò negli stessi temi.
Circa 600 opere attendono a Suzzara una degna collocazione espositiva; gli autori sono nomi di spicco del ‘900 italiano: Birolli, Turcato, Cantatore, Greco, Pizzinato, De Grada, Pozzati, Tadini, Chiesi, Bendini, eccetera.
Il premio, che per oltre un decennio è stato uno dei più importanti d’Italia, ha attraversato la crisi di manifestazioni analoghe, determinata, sostanzialmente, dalla decadenza della critica militante e dal montare della corrente concettuale, negli anni ’60 e ’70. Ma a differenza degli altri concorsi d’arte ha avuto il pregio di continuare la propria attività, giungendo oggi alla 41° edizione e dimostrando lo straordinario attaccamento dell’operosa cittadina mantovana e dell’Associazione Amici del Premio a questo momento di riflessione sull’arte contemporanea.
Il Premio 2001 ha visto vincitori anche Mariarosaria Fimiani (2° classificata con Impoveriti – Vacanze al mare) e Pepa Llausas (3° con Dietro alla moda). Sono, invece, stati segnalati Francesco Garbelli (Passione operaia), Maddalena Bellorini (4cebtovacchealgiorno), Sanda Sudor (Meravigliata attenzione) e l’artista africana Reinata Sadimba (Figura).
Nel suo complesso la selezione delle opere presentate (ad invito) è parsa di buona qualità, con la presenza maggioritaria di artiste donne ed un buon numero di stranieri (tra cui i 2 africani, Peter Wanjau e Reinata Sadimba).
Le uniche perplessità vengono dalle scelte della giuria. Non che le opere selezionate siano scadenti, ma appare incomprensibile come almeno tre lavori non abbiano ricevuto neppure una segnalazione, nonostante proprio ad essi si debba attribuire l’alto livello qualitativo della manifestazione.
In primis, Ennio Bertrand che ha presentato una suggestiva installazione sul tema della fuga, dal titolo Viaggi. Nella stanza, in penombra, il visitatore passeggia nel silenzio finendo inevitabilmente per entrare in una zona nella quale, grazie ad un articolato sistema digitale, ad ogni movimento fatto vengono corrisposti dei segnali audio: fughe tra gli arbusti, treni che passano, corse e voci imperative che gridano trafelate (ma sottovoce) direttive ed ordini. Bertrand documenta così rumori e parole di fughe notturne oltre frontiera di gente disperata in cerca di un sogno, le corse alla cieca dei profughi, le pene dei braccati, riuscendo abilmente ad insinuare nel visitatore gli stessi sentimenti di paura e timore.
Di alta qualità anche le 2 opere in fusione di vetro legno e metallo di Silvia Levenson (Accomodati e Fatto a mano), rispettivamente un piccolo ‘tavolinetto’ e una seggiola di vetro ricoperti di punte in filo di rame e di nuovo una seggiola di vetro, collocata al centro di una matassa di filo spinato. La Levenson continua la sua suggestiva analisi del mondo dell’infanzia: attraverso l’ostentazione di piccoli oggetti comuni, resi puri ed intoccabili, delicati e pericolosi, l’artista esplora la psicologia infantile attraverso assenze, silenzi e vuoti evocativi.
E sul tema del silenzio sono belle anche le 2 opere di Brahim Khanous (entrambe dal titolo Il silenzio), composizioni ordinate di contenitori di terracotta grezzi: muti oggetti che, relazionandosi l’un l’altro, nascondono gelosamente la propria anima.
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