Chiaro: stare a venti chilometri da Milano
significa soffrire. Non è facile competere con la metropoli quando si tratta di
offerta culturale, ché bene o male il fattibile e il possibile si svolge laggiù
e a questo capo del Naviglio tocca d’inventarsi gli effetti speciali con poca
fantasia e sempre meno risorse.
Eppure, qualcosa di brillante, se non un
guizzo almeno un accenno, da una città universitaria dotata di musei ricchi
(solo nella quadreria dell’Ottocento ci sono i
Pellizza, i
Faruffini, gli
Zandomeneghi e i
Cremona) era lecito
attendersi. Invece Pavia insiste nella provincialissima mania del chiavi-in-mano:
prima l’insulso passaggio delle incisioni dedicate da
Chagall alle
Anime morte di Gogol’, poi il
pretestuoso carrozzone dadaista orchestrato da Bonito Oliva; ultima la boutade
dedicata a
Il Bacio, buona giusto come scenario per una conversione
radical-chic di Federico Moccia.
Ora, complice l’apertura all’Italia dell’Ermitage
(con tanto di fondazione dedicata: ha sede a Ferrara), ci tocca una selezione dalla
ricca collezione che il museo russo ha di opere del Seicento spagnolo.
Parlare di fondi di magazzino sarebbe davvero
ingeneroso. Limitiamoci a dire che a Pavia certo non sono arrivati i pezzi da
novanta. Avviliti da un allestimento più moscio che minimal, in parte offuscati
da un’illuminazione discutibile, si susseguono – quasi intimoriti – pochi pezzi
pregiati (splendido l’
Ecce Homo di
de Ribera) e molti maestri
minori. Del
Murillo promesso dal titolo della mostra ce n’è: chiaro, non si può
pretendere il
Bambino che si spulcia del Louvre, ma le
Donne presso una finestra
con grata è lavoro interessante da studiare e fa piacere non dover andare a
San Pietroburgo per vederlo.
È invece una presa in giro bella e buona il
riferimento a
Velázquez: il nome ha un
appeal indiscutibile, al
punto che la curatela arriva a millantarne una presenza appena evocata. Già,
perché non si venga a dire che l’unico autografo del maestro esposto a Pavia, il
Profilo di testa maschile – opera giovanile, per non dire
giovanilissima -, vale il prezzo del biglietto.
Anche perché, se proprio
vogliamo fare i bulli, almeno facciamolo bene: all’Ermitage hanno
Il pranzo (o
Contadini a
tavola che dir si voglia) del ‘17, che in teoria potrebbe anche passare per la sua prima
opera certificata; un testo pittorico germinale e intenso, che puzza di
caravaggismo e basta da solo a significare la carica realista di Velázquez e a
motivare (ad esempio in quel pane che penzola in primo piano) la devozione che
per lui aveva gente come
Dalí.
Insomma, per farla breve: tanto rumore per
nulla. Ma siccome Pavia merita una visita a prescindere, ecco un motivo per
andarci: nelle scuderie del castello, fino a metà dicembre, è in mostra
Pasquale
Massacra, prodotto del romanticismo locale, passionario “figlio” di
Hayez, sanguigno pittore
trucidato dagli austriaci ai tempi della lotta per l’indipendenza. Una figura,
una storia, una tavolozza che meritano di essere (ri)conosciute.
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ottimo e onestissimo articolo su una "mostra" dir pco deludente