A
proposito di Michael Jackson è stato detto e scritto di tutto e, purtroppo o
per fortuna, a seconda dei punti di vista, se ne parlerà ancora per molto
tempo. Anche
Tobias Rehberger (Esslingen, 1966; vive a Francoforte) tenta di dirci la sua sul tema, con una
serie di opere dedicate all’icona del re del pop.
Sulla
superficie di una scultura-orologio formata da un grande pannello luminoso si
trovano una serie di immagini ritagliate di Michael Jackson che riguardano
l’intero arco della sua attività di popstar, dagli esordi con i Jackson Five
fino agli ultimi anni di declino e di tentativi di rilancio della propria
carriera;
davanti ai nostri occhi sfilano tutte le trasformazioni a cui il
cantante americano aveva sottoposto il suo volto, modificando radicalmente i
propri tratti somatici.
Due
oggetti che risultano essere un ibrido tra un orologio a cucù e le grandi casse
di uno stereo emettono ogni quarto d’ora circa il caratteristico urlo di
Jackson, divenuto una delle sue caratteristiche distintive, mentre una serie di
teche di vetro che contengono stampe digitali rinvia all’orario in cui sarebbe
avvenuto il decesso del re del pop, le 12:26.
L’opera
di maggior impatto della mostra è sicuramente
C’il Eam Habbim, composta di una cabina da tiro dalla quale poter
sparare alla figura in movimento di un Bambi disneyano con il volto di un
giovane Michael Jackson.
L’approccio
di Rehberger non è di tipo pop, in bilico tra critica e complicità, ambiguo
quasi per sua stessa natura, ma si tratta di un’indagine critica sull’icona del
cantante americano e sulla sua manipolazione da parte della società dello
spettacolo. Non vi è alcuna mitizzazione. Non solo l’elemento di esaltazione
dell’icona è assente, si perde all’interno dell’operazione di
decontestualizzazione messa in atto dall’artista tedesco, ma viene parzialmente
meno anche quella misteriosa aura inquietante e sinistra che caratterizzava il
personaggio.
Michael
Jackson emerge quasi come una sorta di macchietta, il cui carattere iconico si
nutre del suo essere un bersaglio
per una società dello spettacolo sempre alla
ricerca di obiettivi contro i quali puntare il proprio mirino, in qualità di
intrattenimento ludico, come ben esemplificato dall’installazione
C’il Eam
Habbim, il cui titolo è un gioco
di parole dietro il quale si nasconde la frase
Kill him.
Proprio
quest’installazione, però, presenta alcuni problemi di allestimento: la cabina
di tiro si trova in una posizione non molto felice rispetto al bersaglio
mobile, addirittura tra i due si frappone una porta a vetri per cui, separando
in maniera netta le due parti dell’installazione, si corre il rischio di
vanificare l’efficacia dell’opera.
Unico
lavoro che non appartiene al tema della mostra è
The great disarray swindle, un groviglio di fili elettrici con appese alcune
lampade dalla forma poligonale, una vera e propria, per usare le parole
dell’artista,
“insalata di cavi”.