Unâarchitettura è sempre racconto e metafora, storia da edificare e decodificare. CosĂŹ, uno spazio percorribile può farsi solida griglia a cui affidare le pieghe e i nodi di una reinventata biografia.
Liliana Moro (Milano, 1961), ospite del milanese Docva -il nuovo centro di documentazione per le arti visive che congloba Viafarini e Careof-, ha trasformato il vuoto imponente degli ambienti espositivi in una struttura asciutta e articolata. Le pareti in calcestruzzo tracciano una scrittura a-cronica di spigoli, stanze, passaggi, metaforico labirinto in cui sfuma la logica degli ingressi, delle interdizioni, delle direzioni.
Il titolo,
This is the End, chiama in causa la questione del tempo, per un progetto basato sul senso simbolico e percettivo dello spazio. â
Nel mio principio è la mia fine / Nella mia fine è il mio principioâ, scriveva T.S. Eliot nei suoi straordinari
Four Quartets. E con una controversa âfineâ si confronta Moro che, raccontando in un eterno presente alcune tappe della sua storia creativa, scambia lâinizio con la fine, il passato col futuro. Cinque le opere-frammento che puntellano il dedalo di muri e mattoni, divenuto luogo della memoria, della coscienza, del pensiero in atto.
Ă soprattutto il tempo dello sguardo quello esplorato da Liliana Moro, come subito suggerito da
Lâuomo che guarda non farĂ il tifo contro, tautologica scritta blu al neon, tratta da una serie del 2004-05.
Film (2006) mette in pratica quello sguardo dellââabbassamentoâ tanto caro allâartista. Il gesto di chi si china per attivare un abbandono strategico allâimmagine si realizza grazie alla scala che consente di scorgere, al di lĂ di una parete, una scultura in bronzo poggiata a terra. Il gatto e il cane, rannicchiati in una cesta, citano la lunga sequenza di
Film -cortometraggio beckettiano dedicato al fenomeno della visione- in cui un
Buster Keaton ripreso sempre di spalle affronta la selvatica purezza dei quattro occhi ferini.
Ci sono poi gli specchietti retrovisori installati nel 1988 tra le inferriate della
Casa Circondariale di Novi Ligure, testimoni di unâabile operazione di intercettazione di sguardi, quelli dei cittadini sul carcere e quelli dei detenuti sulla cittĂ .
Unleaded, del 1989, è un pezzetto di gommapiuma costretto in una rete metallica, traccia di una impossibilitĂ visiva e fisica: la leggerezza della spugna sperimenta lâatto di forza di una struttura che contiene e inchioda al suolo, impedendo la percezione della levitĂ .
Sguardi negati, infine, in
This is the End (2004). Da una stanza chiusa giunge una violenta luce rossa, mentre i versi e i rumori che tagliano lâaria evocano la famosa sequenza di
2001 Odissea nello spazio in cui le scimmie antropoidi conquistano il senso del sacro, lâistinto di lotta e la conoscenza. Tempio inaccessibile privo dâaperture, la stanza allude al mistero dellâevoluzione sfruttando lâevocazione filmica e la potenza dellâimmateriale.
La âfineâ narrata da Liliana Moro coincide col presente dinamico di una scrittura in soggettiva, negata dal ricordo di una frase accesa pochi anni addietro, nel blu elettrico di un neon: â
Lâautobiografia non esiste: è solo arte e menzogneâ. Sacrosanta menzogna del vivere che sâintreccia con lâarte. Cavalcando il presente, fino alla fine.