Disse Jacques Derrida con tono irremissibile a proposito dei suoi scritti “impossibili”: “
Un lavoro di questo genere è il più possibile calcolato per sfuggire alla coscienza corsiva e discorsiva del lettore plasmato dalla scuola”. Negatività della
parola. “
L’arte non è una cosa seria”, diceva
Tristan Tzara. Rivolta contro il concetto stesso dell’arte.
L’irriverenza postmoderna andò oltre la tradizione logocentrica della filosofia come il nonsense rivoluzionario Dada superò tutto l’universo di discorso dell’estetica tradizionale. “
Dada non è moderno” (sempre Tzara). Era il Cabaret Voltaire di Zurigo,
Hugo Ball,
Arp,
Cendradrs,
Apollinaire e le chiassate delle iniziative scandalose.
Martin Städeli (Basilea, 1962; vive a Berlino) ha respirato perfino geograficamente la
koinè dada, tributandola nel titolo con cui ha voluto battezzare la sua prima personale in Italia negli spazi della galleria Salvatore + Caroline Ala:
HugoBallBallett, quarantasei sculture nate dall’assemblaggio di materiale povero -giornali, colla, listelli di legno, rotoli di carta igienica, fil di ferro- abbinate a interventi coloristici e vicine all’arte dei detriti di
Kurt Schwitters.
Opere che si accompagnano a una slogatura dell’unità verbale. Disarticolazione evidente dall’intervista a sé stesso che Städeli pone come commento meta-teorico ai suoi lavori. “
Sono materiali che esistono, sono reali, sono informazione, narrazione, grafica, colore, tempo, testo et cetera. Sono realtà, trasportano realtà. Ogni materiale utilizzato è. E cela in sé racconti concreti, seri, assurdi, astratti e altri
. Queste narrazioni diventano poi esse stesse materiale”.
Una sistematica dislocazione del linguaggio che prende la forma di un sistema aperto, autopoietico: Francisco Varela e Humberto Maturana, rizomatico e omnicomprensivo, affine sotto certi rispetti alla scrittura di scena di
Carmelo Bene e alla derridiana metafisica della presenza. Fuochi verbali che fanno pensare alle scorribande nella parola di Hugo Ball e alla
différance decostruzionista.
Contraltare a sculture in un certo senso
viventi, collocate lungo il piano terra, le scale e il piano inferiore della galleria, giardinieri, vecchi, maghi, clown,
living stone provenienti dai greti dei fiumi, simulacri che coinvolgono lo spazio nella nietzscheana danza-che-crea evocata nel neologismo
HugoBallBallett, dalla recitazione di Hugo Ball al Cabaret Voltaire. Opere che ricordano in alcuni singoli casi le figure di
Alberto Giacometti, di cui sembrano però negare la filosofia dell’inquietudine, e finanche la
Madonna del parto di
Piero della Francesca, come la prima scultura visibile fin da subito dall’esterno della galleria.
L’arte non è venerabile e non deve incutere rispetto. Parole d’avanguardia che non stonerebbero se a pronunciarle fosse questo artista crudele verso l’arte e verso il linguaggio.