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fino al 17.V.2008 | Papero Rosso | Milano, Superstudio Più

di - 15 Maggio 2008
L’autore non esiste. Almeno in senso anagrafico. Papero Rosso è un artista che ha rinunciato all’identità, ma l’anonimato non limita la sua opera, anzi ne potenzia il senso. Possiamo parlare di “nolontà”: volontà di non esserci, essendo. Investendo tutta l’attenzione solo sulle opere e scegliendo un sistema di visione estremamente meccanico e ricorsivo. Potenzialmente replicabile.
Pannelli di generose dimensioni -fotografia e tecnica mista su tavola- fatti di strisce incollate che determinano un’immagine frantumata: un metodo fotografico con l’effetto del taglio. Oggetti di design, diciamo. Di per sé riproducibili. Ideologicamente affini ai tagli di Fontana o alla merda di Manzoni o all’orinatoio di Duchamp. L’arte è marxianamente una sovrastruttura e, in fin del conto, è divertente che un pensiero possa anche essere un cesso. Basterebbe dunque un’opera, una per tutte: è così facile fare i falsi di un autore senza volto.
E infatti i lavori di Papero Rosso, che usa i media della pittura e della fotografia rivisitandoli in chiave dinamico-percettiva, con l’effetto di restituire una visione quasi cinematografica, sono dislocati negli ampi spazi di un ex deposito industriale come fossero opere in serie, tante repliche differenti di sé stessi. E guardare la mostra fa un po’ lo stesso effetto di quando, al termine del percorso espositivo solitamente intrapreso in un museo, si passano in rassegna le repliche iconografiche come poster dei relativi originali più o meno celebri contenute in quei grandi raccoglitori sfogliabili collocati nel bookshop.

Nel nostro caso, però, i pannelli di Papero Rosso sono repliche-in-via-di-apparizione che rappresentano il percorso stesso. Lui -o lei- rinuncia, più che all’anagrafe, al personaggio. Lo uccide, ne depotenzia il protagonismo. E chiunque può replicare le sue tavole “tagliate”. L’espressione gergale kunstvollen denota proprio questo significato: volontà d’arte. Ora, ogni persona che dipinga un quadro col desiderio che sia arte, sta facendo arte. E in Papero Rosso v’è questa volontà, non tanto di nascondere, quanto piuttosto di eclissare il personaggio ma fare in modo nello stesso tempo che l’opera d’arte esista da sé. Cancella il personaggio e lascia solo l’immagine, del tutto impersonale in quanto opera di nessuno. Non c’è l’atto notarile dell’autentica.
Papero Rosso estingue la quiddità del lavoro artistico, la sua esistenza unica e irripetibile, la sua collocazione nel tempo e nello spazio: la sua autenticità. Perché, ce lo insegna Walter Benjamin, l’opera d’arte è intrinsecamente riproducibile, da sempre. E in misura intensamente superiore a partire dalla temperie postmoderna, che sembra non aver mai fine, da quando l’arte -e la filosofia- si affranca dal servaggio dell’autorità rituale per entrare nella dimensione della coincidenza degli opposti, l’effimero e il transeunte insieme. Un superamento dell’enfatizzazione soggettivistica del Romanticismo che termina nella presenza/assenza dell’autore tipica del Novecento, quando non più il soggetto, ma l’oggetto, conosce il potenziamento del proprio senso, restando però nello stesso tempo “l’oggetto di”. Un po’ come l’immissione hegeliana dell’alterità nell’identità.

Ma il fantomatico Papero Rosso va oltre, in quanto nei suoi oggetti mancano il corpo e l’anima. Muore l’autore e resta, vagolante nell’aria, una razza in via di apparizione: la personalità di Papero Rosso, che s’accompagna all’impersonalità delle sue opere potenzialmente replicabili. Io non ne sono l’autore in quanto mi nego come tale, ma voi potete rifarle. Né anonimato, né nascondimento, ma dispersione dell’aura proprietaria: l’opera vive autonomamente. Papero Rosso si riconosce ma non si conosce. Qui sta il divertimento dell’impresa. Con un artista che si presenta con le opere ma si cancella come personaggio. Segnalato da un collezionista, fantasmatico anche lui.
Mostra ben curata -in rosso, of course, e con una brillante illuminazione sagomata che colpisce fin da subito senza il rischio dell’eccessivo-, allestita in uno spazio privato che non fa rimpiangere lo spazio pubblico, rispetto al quale assume un ruolo di efficace sussidiarietà. Mostra che segna altresì l’ultima presenza di Vittorio Sgarbi a Milano, almeno come Assessore alla Cultura: nonostante l’accrescimento quantitativo -con lui in giunta le mostre si sono triplicate e i visitatori raddoppiati- e qualitativo -la collettiva sulla street art al Pac, per esempio- degli eventi culturali, gli screzi atavici con un sindaco che non ha mai mancato di giudicare “mostre troppo estreme”, “scandalose e dissacranti” talune proposte come Joel Peter Witkin e Jan Saudek, Vade Retro, Liberi Amori Possibili sono giunti al punto di non ritorno.

Sostanzialmente per il modo con cui è stata fatta passare in giunta l’ultima delibera sulla rassegna di teatro gay, approvata “con la vaselina, votata dai miei ignari colleghi”, metodo di persuasione retorica di cui s’è vantato urbi et orbi l’assessore stesso. E per la necessaria ridefinizione dei rapporti strategici con un “Corriere della Sera” troppo poco attento all’amministrazione milanese, almeno nella stagione pre-Expo.

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emanuele beluffi
mostra visitata il 7 maggio 2008


dal 7 al 17 maggio 2008
Papero Rosso – Viaggio
a cura di Giovanna Maggini
Superstudio Più – Art Point
Via Tortona 27 – 20100 Milano
Orario: tutti i giorni ore 11-21
Ingresso libero
Info: tel. +39 02422501; fax +39 02475851; areart@superstudiopiu.com; www.superstudiogroup.com

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