C’è un grigio dilagante di periferia nell’orizzonte del mondo raccontato da
Diego Perrone (Asti, 1970).
Il Merda – parte prima (paesaggi) è una sosta, soltanto una breve pausa nel corso di un viaggio sconfinante fra le penombre e le vuote solitudini di luoghi desolanti.
Apertamente ispirato alle ricerche pittoriche di
Mario Sironi, soprattutto a
Il Gasometro e a
Paesaggio urbano, nonché al romanzo mai portato a termine da
Pierpaolo Pasolini,
Il Petrolio – in cui il poeta denunciava in maniera più aspra che mai l’involuzione dell’Italia contemporanea -, Diego Perrone della periferia indaga l’oltre, ciò che resta coperto dal velo del sonno.
Quell’architettura fredda e straniante che ovunque è sempre uguale. Dagli spazi deserti al massimo solcati da un mezzo di trasporto o da un passante propri del Sironi anni ’20, Perrone approda all’estrema riduzione geometrica di sculture metalliche, ora forme incancrenite di catrame, ora leggere onde di plastica. Emerge un’eco post-industriale di oggetti inermi, senza alcun riferimento a luoghi precisi e con valenze assolutamente metafisiche. Non esiste alcuna prospettiva; piuttosto c’è un’assoluta rottura con qualsiasi logica che tenti di organizzare la realtà in proporzioni. Tutto resta sospeso, immobile, impalpabile. Perrone costruisce un’architettura di forme impossibili, delineando sculture vertiginose.
Al centro di quest’universo “in divenire” sta l’impegno del lavoro artistico, filtrato tra immagini fotografiche in cui si percepisce l’intervento con mano dell’autore, imposto sulla materia attraverso forti tratti di biro, di inchiostri differenti. È una poetica affascinante e rigorosa quella che Perrone raggiunge, coniugando tecniche e metodologie tradizionali, dalla pittura al disegno alla scultura, con estrema libertà espressiva.
In concomitanza a
Il Merda, la galleria propone una collettiva di grandi opere, tutte ispirate a spazi pubblici.
Public pone il visitatore davanti a quattro luoghi vuoti, ognuno da riempire eventualmente con l’immaginazione.
Uncollected (2005) di
Elmgreen & Dragset ricrea l’area per il ritiro bagagli di un aeroporto. Una vertiginosa struttura di legno,
Untitled (2007) del gruppo austriaco
Gelitin, una scalinata panoramica con annesso deposito borse per turisti.
Public è una riflessione sui luoghi pubblici che avvicinano e separano irrimediabilmente, come i
100 cinesi di
Paola Pivi, uniti e perfettamente distanti. Spazi “anestetizzati”, come la “vasca psicologica” di
Carsten Höller,
Psycho Tank (2003), in cui immergersi. Per perdersi, come nella folla.
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Cavolo, anche perrone sta scivolando, qualcuno lo aiuti subito. L'atmosfera concettuale rimane interessante ma la resa formale si piega troppo al clichè. Ma forse ha ragione. Sicuramente sta perdendo un po'smalto. Che sia la frequentazione di trevisani a berlino?
Un'altra vittima di Trevisani...