Tre giovani artisti sono i protagonisti di una piccola mostra il cui titolo è quantomeno impegnativo: tempo. Si sono fatti aiutare da vari materiali e tecniche per sviluppare questo tema, per farlo proprio. Muriel Merzario e Laura Manfredi arrivano entrambe dall’Accademia di Belli Arti di Brera, ed entrambe sono affascinate dalla tecnica dell’incisione. Proprio “Architettura”, un lavoro del 2000 di Merzario, apre la mostra. Quasi sequenze si rincorrono sull’opera dalla forte connotazione verticale, e ne emergono le forme primitive, le architetture forse?, in colori vivaci: il triangolo rosso, il quadrato blu.
Suggestivo il lavoro “Memorie”, di Manfredi. Scatole in cui sono immagazzinate le memorie ci vengono incontro, in una visione prospettica, e al di sopra di loro un vuoto si apre, il vuoto del tempo non inscatolabile. Si prosegue con “Eclisse” di Merzario, ispirata all’eclisse solare del 1999, dove le varie fasi di occultamento del sole sono incorniciate da strani simboli, il tutto ricorda le tavole astrologiche e di effemeridi, e questo non è che un altro modo per “misurare” il tempo, per segnarlo attraverso accadimenti astrali.
Con più attenzione scopriamo però che quei segni sono lettere di vari alfabeti: greco, arabo, cinese, tutti a comporre un disegno grafico, al di là della loro valenza letteraria.
In mostra un’installazione di Andrea Favoni, “Tempo 2001”. 3 cilindri che roteano nel vuoto, sensibili al movimento, la cui possibilità di rotazione è evidenziata da frecce disegnate sui loro corpi.
Un altro lavoro di Manfredi è leggero e greve nello stesso tempo. Impalpabili carte veline sono applicate su una superficie scura, pare che possano volare via da un momento all’altro. Fisicamente inconsistenti, ma profondamente pregne di significato. Su di esse, con calligrafia fitta fitta, è riportato un capitolo tratto da “gita al faro” di Virginia Woolf.
Ancora questo testo è protagonista dell’installazione con cui si conclude l’esposizione. Un abito di piombo appeso a una gruccia si specchia in un catino colmo d’acqua, nel quale è immerso un libricino scritto. E l’abito, reale, si confronta con un passo estratto dalla Woolf che parla di abiti. “Un paio di scarpe, un berretto da cacciatore, delle gonne sbiadite e delle giacche da cacciatore”.
In sottofondo le note di Jaime Castaneda, musicista messicano, le cui parole sono riportate su uno stendardo appeso nella sala della mostra e che ci comunica la sua definizione di tempo.
“Una struttura semplice, partendo da una pulsazione come inizio. Poche note, poco spazio creano un ideogramma musicale. Il tempo? Un semplice parametro che misura gli intervalli degli eventi.”
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