Il volere femminile crea escrescenze, metamorfosi e apparizioni sul corpo, ispirando i temi più spiati dal mondo dell’arte contemporanea. Così il desiderio diventa sensazione, percezione e, a volte, emozione del corpo. Solo l’oggetto d’arte, come spessore transazionale, risponde ai dubbi e alle dicotomie di un’estetica dell’interiore. Perché dove c’è mancanza ad essere, dove c’è assenza, è lì che entrano in contatto i confini reali con i paesaggi mentali, confondendosi in lotta. Così, maggiore è la distanza tra desiderio e istante del possesso, tanto più aumenta il territorio del corpo, lontano dalle origini prime. E nel frattempo la carne si sottopone a slabbrature, a sdoppiamenti e, per finire, a repliche.
Tre giovani artiste calzano le orme di questa poetica dell’attesa, seguendo sentieri distanti fra loro, ma intrapresi con uguale, quasi inspiegabile, intensità. Barbara Matilde Aloisio, fra le tre, è la viaggiatrice. Nelle sue valigie si accendono luci, rimangono impressi fari sotto cieli in tempesta, mentre sul fondo posano cristalli trasparenti. Nelle sue custodie da collier, invece, schizzano impazziti pendant di lampadari, scheggiando le sete delle fodere interne. E il tema del ricordo prende a prestito gli oggetti-del-baule-da-soffitta per riportare a galla l’impossibilità della concomitanza, la tristezza della perfetta corrispondenza. Ogni sua opera ha come titolo Portami con te perchè la parte che non può essere estratta, per essere affiancata in viaggio, rimane sola, sul corpo di chi non è potuto, o voluto, partire.
Mariangela Bombardieri, invece, è la guaritrice. L’artista schematizza il corpo, disegnandolo come una mappa in bianco e nero. Su quest’ultima, per ogni organo, sono incastonati cristalli e fili di rame, per unire i centri energetici. E i polmoni prendono sapore di terra, come amaro segno di gioia, all’interno di una visione pseudo-oirientale. Il segno del tratto, in bianco e nero, fa da sfondo ideale per dare risalto ai lucidi flussi di rame da seguire per la via della guarigione.
Infine Annalisa Riva è la sarta dispensiera del trio. Le teche dell’artista sono scrigni appesi come quadri alle pareti. La Riva cuce e ricama su vecchi vestiti i simboli incancreniti dell’inconscio bambino. Il non risolto dell’infanzia, per esempio in Reveuse, buca come pelle un pagliaccetto rosa da danza. Così le api che camminano fisse sulla stoffa da questa fanno uscire il loro alveare, perché nel mentre il corpo, ormai donna, non le indossa più. Dunque l’utilizzo degli insetti inseriti come un espediente pronto all’uso della fobia, quella depositata. Quella che il ricordo nasconde per non far sembrare.
ginevra bria
mostra visitata il 18 maggio 2006
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