Gli spazi della galleria di Federico Luger sono relativamente modesti, ma ben disegnati e altrettanto ben illuminati. Per questa nuova personale di Chris Jahncke (New Orleans, 1977) ogni rientranza delle pareti diventa una piccola area tematica. Una zona dalla quale osservare i movimenti ieratici dei volti appesi alle pareti.
Il giovane pittore americano, dopo essersi laureato all’Accademia di Atlanta, ha ricevuto una borsa di studio dallo stato della Louisiana, meritandosi poi la selezione presso due biennali di arte contemporanea, entrambe Made in Usa.
In galleria a Milano, invece, in veste anche di allestitore di questa prima personale tutta italiana, Jahncke presenta quindici lavori dipinti su carta e prodotti presso la Napoule Fondation, situata sulla Costa Azzurra, in Francia. Nonostante il formato dei lavori non superi quasi mai, eccetto un solo caso, le misure di un A4, la resa stilistica dei soggetti risulta evidente e ben marcata. Forse grazie alla condensazione dei soggetti rappresentati, ogni opera acquista un orlo proprio. Un sigillo che dona pesantezza e spessore figurativo all’interno dell’intero impianto estetico. D’altro lato, questo pittore, anche grazie alle tecniche di cui fa uso, è dotato di un’abilità rodata nell’accostamento dei colori e nell’accompagnare con delicatezza le sfumature derivate dalle diverse gradazioni cromatiche. La tecnica annacquata degli acrilici e delle guache, inoltre, viene stemperata con colle viniliche che lucidano e creano metallescenze fra le pieghe di ogni pennellata.
In alcuni punti si notano leggere imperfezioni, dovute a cangianze impreviste, o a semplice distrazione. Fattore questo che crea un’alterazione bilanciata tra la rappresentazione reale e il rimando onirico delle forme.
La carta utilizzata per esporre questi lavori è molto spessa e ruvida, diventando il supporto ideale per far si che i pigmenti diluiti in acqua si assorbano senza formare pieghe sulla superficie. Grazie a questo impasto di celluloide, fatta di celle ben compattate, i fogli possono essere appesi senza cornice. Il fatto che non ci sia base rigida a fissare i lavori pone lo spunto per un’altra riflessione. Da lontano queste maschere sembrano infatti un residuo arcaico magico, di tipo apotropaico. Quasi ogni volto dipinto, forse per questo, ha gli occhi bucati. Nel centro delle iridi, gli spazi cavi vedono il muro sottostante e creano uno stacco forte. Nell’insieme, sembra di vedere un gruppo di teste deformi e sospese. Una sorta di ritratto ideale che non si palesa mai, mai al di fuori dei tasselli geometrici che gli danno vita e forma umanoide.
Questo discorso risulta ancora più accentuato nell’istallazione posta al centro dell’arco, quello che segna la parete destra della galleria. Sulla superficie dell’intonaco sono sparsi elementi geometrici ritagliati in maniera indipendente dal disegno centrale. Come tante cellule queste gravitano attorno ad un collage, una sovrapposizione di più parti che compone il volto adulto di un pupazzo. Un vero enigma senza soluzione puntuale, un buon inizio per un artista che ancora deve affilare una propria impronta.
ginevra bria
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