I confini del mondo sono circondati da caligine. Una nebbia che circoscrive lo spazio costringe al centro di una visione limitata, al di fuori della quale sembra non esserci più nulla. Basti pensare a quanto venga percepita come una minaccia, per comprendere la distanza che passa tra Oriente e Occidente. Da una parte, la nebbia segna i confini con il vuoto, che è morte, nulla; dall’altra il vuoto stesso rappresenta l’essenza di tutte le cose, e non è minaccioso, ma quiete soltanto.
“Su tutte le cime, v’è pace”: sembra quasi di ascoltare gli ultimi versi di Goethe guardando alcune foto di Nunzio Battaglia (Gela, 1958) scattate al parco di Yosemite. La stessa roccia protagonista di alcuni celebri scatti di Anselm Adams sembra perdere peso e galleggiare sopra le cime degli alberi, come un iceberg che emerge da un mare bianco. Scozia, Stati Uniti, Cina, Nepal, Tibet. Le immagini in mostra a Milano sono di paesaggi lontani, accomunati da una consonanza estetica e filosofica voluta e cercata con forza. Ogni fotografia ha richiesto lunghe sedute in camera oscura, per trovare i giusti equilibri cromatici e soprattutto una sintonia interiore con le cose, attraverso veri e propri esercizi spirituali. Ripetendo le parole del buddismo Ch’an: “Ju è lo stato autentico delle cose… non allude alla natura misteriosa, alla sostanza impenetrabile delle cose, bensì all’onnipresente nudità e vacuità. Quando il pensiero dualistico è sospeso, si comprende… che le cose sono ju, cioè insignificanti e vuote… sceglierle o rifiutarle non ha più senso”.
Confrontandosi con luoghi eterogenei, che suscitavano il “tormento dell’inguardabilità, dell’ovvio, del finto”, Battaglia ha sottratto peso alla visione data dalla fotografia, per arrivare ad una visione pura in cui il paesaggio è accennato, evocato e mai brutalmente descritto. Rinunciando alla prospettiva, per entrare in risonanza con le cose. Concentrando il fuoco su dettagli minimi in primo piano, per dirigere l’attenzione sullo sfondo opalescente alle loro spalle.
Oppure con immagini che affiorano in superficie circondate da uno spazio vuoto, come il bianco dei dipinti sumie. I luoghi fotografati vengono in questo modo riscattati e riescono a farsi strumento di meditazione. In uno dei laghi più inquinati e velenosi del pianeta, l’acqua completamente verde acquista una tensione verticale in dissolvenza che rasserena lo sguardo. La nebbia non è più un ostacolo alla vista, ma si rivela un modo di andare attraverso la materialità, al di là da essa, per arrivare all’essenza delle cose. Vacuità (ju) e desiderio (lü) non sono in contraddizione, quando la prima illumina il secondo. Quando l’obiettivo della macchina fotografica si trasforma nell’occhio di un saggio che non si lascia turbare, perché non sceglie né rifiuta e, come osserva Claudia Zanfi nel catalogo, sa “smettere di parlare, per ascoltare ciò che il mondo ha da dirci”.
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www.nunziobattaglia.it
stefano mazzoni
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