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Noi sappiamo come è fatta una stella dal modo in cui brucia. Guardando la luce che una stella dà possiamo ricavare quali materiali stiano bruciando e a che temperatura. Quindi tutto è rivelato, perchè nella luce c’è verità assoluta. Non esiste una cosa come la luce artificiale: siamo noi che la facciamo e noi non siamo artificiali”. Questa è l’opinione che
James Turrell (Los Angeles, 1943; vive in Arizona) ha in merito all’ambiente, tema principale dell’intervista che Lucia Borromeo, nel 2001, ha sottoposto all’artista.
La testimonianza concreta di questo pensiero è sublimata nell’ambizioso
Roden Crater project, l’opera che rappresenta la summa concettuale dell’artista americano. L’autore che meglio ha saputo indicare come l’architettura degli spazi in Terra possa avere corrispondenze e poi, a sua volta, modificare la volta celeste. Gli studi rivelatori di questo concetto, da oggi, si possono osservare nei lavori esposti a Villa Panza.
Sono dunque il cielo e le sue manifestazioni, tracce dei movimenti astrali, le vere protagoniste di questa rapida rassegna dal titolo
Oltre la luce, allestita nelle Scuderie della villa; due sale di medie dimensioni, situate a piano terra, al di fuori delle aree verdi dell’enorme parco circostante.
Una video-intervista racconta come sono avvenuti i momenti progettuali e i rilevamenti che hanno portato l’artista a scegliere il sito ottimale per realizzare il progetto. Durante alcune silenziose esplorazioni del deserto, la telecamera segue Turrell in osservazione, mentre s’imbatte nel vulcano spento del Painted Desert dell’Arizona e spiega com’è stato scelto il sito; quell’area di siccità dove oggi sorge la più sperimentale sede architettonica dedicata interamente alla percezione e alla registrazione delle diverse intensità luminose. Alle pareti della sala, alcune fotografie e diversi modelli scalari descrivono la forma affilata della bocca del cratere, che si trasforma in uno
skyspace naturale; una dimensione in cui un qualsiasi osservatore posto nel punto piĂą basso del catino riesce a sentirsi come sospeso, innalzato. Verso quel cielo che, attraverso aggregazioni e fusioni di forme architettoniche, sembra arrivare vicino al naso di chi guarda le sue volte.
Nella seconda sala si conclude il percorso di una mostra cesellata da un allestimento, sonoro e scenico, d’eccezionale rarità . L’osservatore viene infatti accolto da un buio pulsante, un’atmosfera preparatrice che fa brillare gli schermi di sette monitor. Sette filmati corredati da un’ampia ricerca orografica e da un compendio di testi descrittivi che analizzano, con sezioni e planimetrie, alcune delle componenti architettoniche del
Roden Crater: il
Fumarole space, il
South space e l’
East space, il
West Portal, il
Sun&Moon space, il
Beta Tunnel e via descrivendo.
Un’ennesima perla, che conferma nuovamente la sensibilità di un grande mecenate e delle sue scelte, occasioni di bellezza senza apparenze e di affinità senza ridondanza.