Il paesaggio contemporaneo liberamente interpretato attraverso due differenti esperienze creative, quella fotografica di Gabriele Basilico e quella pittorica di Salvo, è il protagonista dello stimolante “dialogo” che si svolge alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo.
La mostra intende infatti dare il suo contributo ad un’antica tematica cara alla storia dell’arte: la rappresentazione dell’ambiente circostante inteso come teatro dell’umanità, spoglio però, in questo caso, proprio dell’elemento umano.
Lo vediamo nelle fotografie in bianco e nero di Gabriele Basilico (Milano, 1944) che ritraggono architetture moderne squadrate ed alienanti, “non luoghi” spogli che contrastano con gli edifici coloratissimi, a tratti psichedelici protagonisti delle tele di Salvo.
All’ingresso e al primo piano della Gamec è esposta una significativa parte della ricchissima produzione di Salvo (Leonforte, Enna, 1947): il leit motiv delle 100 tele in mostra è costituito da elementi architettonici (case, chiese, edifici storici, templi antichi e moschee) immersi in paesaggi silenziosi dai colori acidi. Gli edifici sono schematici e delineati attraverso linee essenziali: non ci sono elementi decorativi o tracce di presenza umana: essi sono quasi “idee”, archetipi di luoghi antichi e moderni immersi in una luce a volte calda, a volte notturna. Diventano quindi espressione simbolica del tema centrale della ricerca dell’artista, ossia la volontà di esprimere il rapporto fra antico e moderno, fra innovazione e tradizione, nella reinterpretazione del presente attraverso il passato: evidenti sono anche a livello stilistico i richiami alla metafisica di de Chirico, alla pittura di Giorgio Morandi o di Carlo Carrà .
Si prosegue con il piano dedicato interamente alle fotografie di Gabriele Basilico: quattro cicli di immagini che rappresentano altrettante realtà sociali ed urbane. Si tratta di Berlino, Milano, Valencia e Bergamo (queste ultime fotografie, visibili per la prima volta, sono state donate alla Gamec su concessione dell’artista), di cui
Un’azione documentaria della realtà urbana ed extraurbana di quei luoghi dove l’architettura ortogonale del moderno si è fatta anonima, disegnando non l’unicità ma la generalità del paesaggio del nostro tempo, come sostiene il curatore Giacinto Di Pietrantonio. Uno stile documentario, quindi, che si arricchisce di una nuova sensibilità, spunti originali che conferiscono un volto nuovo, un’identità diversa a città che magari pensavamo di conoscere e padroneggiare, ma che in realtà cambiano aspetto, come organismi in continua evoluzione.
In definitiva, è ancora possibile al giorno d’oggi rappresentare il paesaggio, trovando nuovi ed originali significati? Una domanda a cui questo confronto serrato tra fotografia e pittura può, forse, dare una risposta.
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cinzia tedeschi
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