Nuvole sfilacciate e cieli amplissimi. Così si presentano i cartoni cellophanati di Guido Bagini (Torino, 1970). Rive su cui dormono residui di attività interrotte: blocchi di cemento, tubi, piscine di raffreddamento, elementi che donano all’opera un leggero senso di solitudine domenicale. Quella stessa piovigginosa riflessione che si ritrova nelle rappresentazioni di interni, dove la pittura riporta alla mente le atmosfere rarefatte di certe abitazioni delle colline torinese, con il loro arredamento retrò e le grandi vetrate razionaliste da cui vedere lo sfumare nebbioso della città.
Sul colore bruno dello sfondo si muovono colori intensi che definiscono solo i contorni degli oggetti o che staccano netti sulle superfici pop della mobilia invecchiata. Il gioco si fa raffinato e virtuoso in un accenno di fronde, nelle imperfezioni della muratura, nelle nuvole azzurre che scambiano il loro colore con il mare ponendo quasi in negativo lo sfondo. Il fascino di questa colorazione piatta è però principalmente dato dal disegno di piani geometrici e prospettici che incatena le accese macchie di colore in un ordine predefinito. Il dripping e le sgocciolature, inseriti con studio all’interno del reticolo formale tracciato da Bagini, rendono lo spazio vivo e respirante, aiutandolo ad evaporare verso quell’orizzonte liquido che dà il titolo alla mostra. “Ho costruito una gabbia per non deviare verso gli esiti più espressionisti che caratterizzavano i miei primi lavori”, spiega l’artista.
Solitudine, atmosfere rarefatte e uggiose riflessioni farebbero pensare ad un accademismo crepuscolare, ma il lavoro di Bagini si dimostra al contrario piacevolmente aggiornato e lucido. Negli esiti esposti in galleria pare ritrovare la freschezza contemporanea e lacerante di certe opere di Thomas Scheibitz o l’ironia romantica degli interni borghesi di Stefan Kurten.
Una sensibilità di gusto internazionale raggiunta tuttavia attraverso una meditazione privata. Dichiara infatti Bagini: “dopo aver sfogliato molto, da due anni circa ho smesso di aggiornarmi su quanto avviene nel mondo dell’arte”.
Ma ancor più della sua presunta modernità, spicca il piacere di scoprire una pittura che sa parlare con franchezza, senza temere il proprio potere narrativo.
alberto osenga
mostra visitata il 19 settembre 2006
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Caro appartamento,
vorrei farti notare che non si dipinge solamente a Lispia non pensare quindi di sembrar aggiornato con questa uscita. Invece per quanto riguarda il lavoro di Petrella articolandosi su basi differenti, nulla ha in comune con quello di Bagini.
Inoltre se proprio devi commentare un articolo arriva almeno fino in fondo nella lettura.
Caro Alberto Osenga... evito commenti sul tuo articolo colmo di luoghi comuni per soffermarmi su Guido Bagini.
Il lavoro apparentemente non è male anche se veramente (troppo) povero. Inoltre vorrei fare notare che non sipuò chiamare "atmosfera internazionale" un artista che, con una pittura di media qualità, scopiazza indiscriminatamente artisti come l'italiano Petrella e i tedeschi di lipsia forte dell'ignoranza del collezionista italiano che non muove un passo fuori dal suo giardinetto dove sta facendo un barbecue con gli amici.
Quindi... forza Guido, facci vedere che non sei così banale... qualche carta penso che tu l'abbia... giocala!
Caro appartamento,
di solito non rispondo mai direttamente ad una persona, questa volta farò un'eccezione.
Mi sento di consigliarti una lettura che feci un pò di tempo fa: la firma è di uno psichiatra tedesco critico di quella scuola di Lipsia che tanto osanni, un certo Oscar Kulpe. Titolo dell'opera "Grundriss der Psychologie" (non so se è stato tradotto).Si parla di introspezioni sperimentali, che come saprai sono estranee a qualsiasi emulazione (volgarmente detto spunto).Il lavoro di Bagini ne è una prova vivente, e lo scritto di Osenga ( a cui faccio i complimenti) sembra l'unico finora capace di rendersene conto. Ma si sa, "omnia tempus habent"...vorrà dire che io ed Osenga ti aspetteremo.
Con stima
Osenga for Pulitzer!