Libri come montagne, cascate, escrescenze architettoniche; libri che crollano, rimbalzano, si levano nell’aria sospinti da energia entropica. Per
Alicia Martin (Madrid, 1964) si tratta di una vera e propria ossessione. L’artista, tra le figure più interessanti della scena iberica contemporanea, costruisce coi libri piccole e grandi strutture effimere, idealmente sorrette da fondamenta di parole su carta. Pagine e pagine di pensieri sciolti divengono impalcature con cui ridisegnare spazi fisici o superfici iconografiche.
Il progetto ideato per Galica riassume il senso di un’intera ricerca orientata alla celebrazione di universi grafici e letterari. L’installazione site specific
Inbreeding mette in movimento lo spazio attraverso un rigurgito cartaceo aggettante che si srotola dal soffitto al pavimento. Un’imponente massa di libri, sedimento informe dalle fattezze organiche, fuoriesce da un muro, si avviluppa sul tramezzo e continua a proliferare al di là dell’arcata centrale. Le pagine sono spalancate disordinatamente, i dorsi cuciti insieme e attaccati alla parete. Una forza violenta sembra aver risucchiato i volumi verso l’alto: annullata la gravità, la miriade di corpi instabili viene risucchiata da un punto magnetico.
Affrancare i libri dalla loro condizione di statico mutismo è la scommessa poetica di Alicia Martin. La comunicazione non ne è immediata conseguenza, anzi. Insiste sul tema della gravità il video
Proyectos de autismo, in cui immagini rarefatte di libri assomigliano ad atomi gassosi dispersi nell’atmosfera o a minuscoli, irrequieti razzi. A scandire la danza ovattata dei tomi sono le voci emanate dalle pagine stesse, mille lingue diverse che rimbalzano da un capo all’altro dello schermo come frammenti sconnessi, autistici, impossibilitati al racconto. Similmente, il trittico
Monologo scandisce l’impossibilità del dialogo nel gesto simbolico di due mani che spezzano un libro in un sol strappo, come a rompere un tozzo di pane.
Martin pare attraversare con candore l’infinita
Biblioteca di Babele di Borges, nel tentativo di rivelare quella “
natura informe e caotica di quasi tutti i libri”. Il delirante geometrismo borgesiano, che incasella oceani di volumi dentro labirintiche mappature cosmiche, esplode in un paesaggio visionario: leggi, numeri, formule si moltiplicano e si annullano nel carosello delle illimitate possibilità combinatorie. Nella babele di suoni e di culture si rivela l’ordine-disordine di un universo verbale primigenio.
Ed ecco che i libri di Martin, schizzati fuori dagli scaffali di librerie e biblioteche, prendono a muoversi all’impazzata, dappertutto, condensandosi in organismi nuovi, tessendo inediti racconti, producendo porzioni di realtà. Pagine solide, parole in forma di cose. Nelle due foto della serie
Jardines, decine di libri colorati sbucano da una distesa d’erba o dal manto della strada, forse appena emersi, forse in procinto di implodere. Inciampi dall’aria fiabesca piantati come paletti, vessilli, arbusti o fiori. Nel silenzio delle immagini, imbevute di luce diurna, si realizza la meraviglia di una letteratura che prolifica, germina, diviene cosa concreta.