Con la mostra
Mumble mumble presentata lo scorso maggio, la galleria Raffaella Cortese ha posto l’attenzione su alcuni fra i più promettenti giovani della scena milanese. Se quella mostra ha avuto il merito di segnare il passo di una rinnovata voglia di performance che a diversi livelli sta prendendo piede, l’attuale esposizione di
Marcello Maloberti (Codogno, Lodi, 1966) fa il punto sul lavoro di chi su queste tematiche si è cimentato in tempi non sospetti. La linea della galleria sembra quindi muoversi in direzione di una ricerca che mira a uscire dal meccanismo -talvolta sterile- dell’installazione, per dirigersi verso uno spirito più giocoso, in cui il ruolo del pubblico viene ridiscusso.
L’artista mette in piedi una sorta di coreografia composta da una moltitudine di strutture e frammenti: una tigre in ceramica a grandezza naturale, una bandiera tricolore, un’enorme ragnatela di spille da balia, una pedana optical. È all’interno di questa diavoleria circense che avviene quella strana trasformazione che porta il pubblico a indossare gli ambigui panni del performer. Amici dell’artista prima e poi un pubblico sempre più numeroso, durante i giorni dell’inaugurazione, ha sorvolato la mostra con piccole ali di cartone, costituite da scatole di scarpe da legare sulle spalle con luccicanti nastri-regalo.
Se all’interno di questo spazio le diverse strutture esposte hanno in realtà già in loro stesse un senso compiuto, è proprio nell’accumulo dei diversi elementi e nell’interazione col pubblico che l’opera viene a crearsi in maniera definitiva.
Tagadà è quindi costruita come una sorta di parco giochi sul bordo dell’autostrada, un’enorme macchina kitsch dove sfreccia, a cavallo di una moto elettrica, un diavolo con tuta in latex e casco di conchiglie. Le diverse parti di questa coreografia sono in sé stesse forti di un immaginario sognante e surreale, cosicché l’immagine di animale inserita all’interno delle scatola di cartone diventa una sorta di totem e
daimon protettore. È lo stesso procedimento per cui le rose di cartacrespa, infilazate su un pannello di polistirolo, ci parlano di piccoli giardini di provincia e di camerette tappezzate con le foto di divi del cinema e del pallone.
Guardando l’opera con un occhio più distaccato, ritornano in
Tagadà alcuni elementi tipici della poetica dell’artista: gli uomini-tavolo, il senso del gioco e del precario, soprattutto la capacità di creare strutture iconiche che raccontano storie in qualche modo legate al vissuto collettivo. Ritornano i disegni di animali della performance alla Stecca degli artigiani del 2003, il tessuto a quadretti rossi de
La vertigine della signora Emilia (1992), l’imballaggio di
Via Col di Lana 8 (2005). Ma se nel lavoro di due anni fa venivano portate per la città, in sacra processione, sedie ricoperte di scatole, cartoline, radio, qui il vissuto collettivo è più prossimo a una mondana festa di paese dove il tricolore, affiancato da una pezza di tessuto a quadretti, si srotola in una lunghissima e gaudente tavolata.
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niente di che' vista dal vivo ma devo dire che in foto viene bene.
l'esterofilia dilaga sempre piu' qui con maloberti importiamo idee vecchie e stravecchie dalla spagna.
ma di idee nostre e un po' di originalita' mai?
stai zitta cretina.
scema cretina
(nome e cognome)