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12
novembre 2007
La “mela avvelenata” che ci porge Michael Bevilacqua (Carmel, California, 1966; vive a New York) ha evidenti effetti allucinogeni. Visitando la mostra The poison apple ci si perde in un vortice che ha come fulcro la Pop Art, ma che comprende una ridda vorticosa di elementi provenienti da tutti gli ambiti della cultura visuale.
La Pop viene sviscerata nei suoi elementi costitutivi: campeggiano sulle tele citazioni indirette del suo stile, ma anche riferimenti letterali a essa (ad esempio le istruzioni per ballare di Warhol in Black fence). Ma sfilano anche citazioni dell’arte novecentesca, dalle bottiglie di Morandi all’Espressionismo astratto di De Kooning, ed elementi della cultura popolare, da Ichabod Crane a Halloween, Fantomas, Biancaneve e l’hard rock.
Risulta ancor più sorprendente, visto il vortice citazionista, che lo stile di Bevilacqua sia estremamente autonomo e in buona parte originale. Dichiara di voler sparigliare le carte, di voler reagire alla pittura, “che è diventata decorativa e compiacente”. Da qui lo Scarecrow, simbolo della mostra, che sembra voler allontanare i fantasmi di una pittura rassicurante.
Certamente una punta di maniera c’è, in questi lavori, ma l’obiettivo di creare qualcosa di elegantemente iconoclasta è raggiunto. La forza visiva dei quadri deriva da soluzioni ardite ma padroneggiate, come l’assemblaggio di cartone alla Bob Rauschenberg, la vivace piattezza cromatica che deriva ancora una volta dalla Pop, e soprattutto un modo di delineare la figura che scimmiotta l’illustrazione e talvolta lo sfregio murale dei graffiti.
Lo sforzo immaginativo è amplificato dall’allestimento, che fa di The poison apple una piccola mostra-evento. All’ingresso, un’insegna quasi da pub accoglie il visitatore, mentre il disegno si espande dalle tele alle pareti; negli angoli, piccole mensole con bottiglie e materiali di recupero ricostruiscono l’atmosfera dello studio del pittore.
La vera impresa di Bevilacqua è comunque la capacità di mediazione fra le istanze della fine art e quelle dell’accumulo spettacolare e irriverente. È tipico d’altronde della pittura inglese e americana che, al contrario di quella italiana, non ha paura di sporcarsi le mani, pur mantenendo uno stile e un’originalità che detta legge.
Contemporaneamente a The poison apple, Bevilacqua ha esposto alla Galleria Faurschou di Copenaghen il progetto complementare Remains of the day. È emersa in quel contesto l’altra faccia della sua opera attuale: lavori in cui il côté Pop è più puro, meno “tagliato” con riferimenti incrociati. Per una volta, l’Italia è stata privilegiata: i lavori in mostra da The Flat risultano di gran lunga più interessanti e stimolano la curiosità di assistere alle prossime evoluzioni dello stile di Bevilacqua.
La Pop viene sviscerata nei suoi elementi costitutivi: campeggiano sulle tele citazioni indirette del suo stile, ma anche riferimenti letterali a essa (ad esempio le istruzioni per ballare di Warhol in Black fence). Ma sfilano anche citazioni dell’arte novecentesca, dalle bottiglie di Morandi all’Espressionismo astratto di De Kooning, ed elementi della cultura popolare, da Ichabod Crane a Halloween, Fantomas, Biancaneve e l’hard rock.
Risulta ancor più sorprendente, visto il vortice citazionista, che lo stile di Bevilacqua sia estremamente autonomo e in buona parte originale. Dichiara di voler sparigliare le carte, di voler reagire alla pittura, “che è diventata decorativa e compiacente”. Da qui lo Scarecrow, simbolo della mostra, che sembra voler allontanare i fantasmi di una pittura rassicurante.
Certamente una punta di maniera c’è, in questi lavori, ma l’obiettivo di creare qualcosa di elegantemente iconoclasta è raggiunto. La forza visiva dei quadri deriva da soluzioni ardite ma padroneggiate, come l’assemblaggio di cartone alla Bob Rauschenberg, la vivace piattezza cromatica che deriva ancora una volta dalla Pop, e soprattutto un modo di delineare la figura che scimmiotta l’illustrazione e talvolta lo sfregio murale dei graffiti.
Lo sforzo immaginativo è amplificato dall’allestimento, che fa di The poison apple una piccola mostra-evento. All’ingresso, un’insegna quasi da pub accoglie il visitatore, mentre il disegno si espande dalle tele alle pareti; negli angoli, piccole mensole con bottiglie e materiali di recupero ricostruiscono l’atmosfera dello studio del pittore.
La vera impresa di Bevilacqua è comunque la capacità di mediazione fra le istanze della fine art e quelle dell’accumulo spettacolare e irriverente. È tipico d’altronde della pittura inglese e americana che, al contrario di quella italiana, non ha paura di sporcarsi le mani, pur mantenendo uno stile e un’originalità che detta legge.
Contemporaneamente a The poison apple, Bevilacqua ha esposto alla Galleria Faurschou di Copenaghen il progetto complementare Remains of the day. È emersa in quel contesto l’altra faccia della sua opera attuale: lavori in cui il côté Pop è più puro, meno “tagliato” con riferimenti incrociati. Per una volta, l’Italia è stata privilegiata: i lavori in mostra da The Flat risultano di gran lunga più interessanti e stimolano la curiosità di assistere alle prossime evoluzioni dello stile di Bevilacqua.
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The Flat – Massimo Carasi
Via Vaina, 2 (zona Porta Romana) – 20122 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 15.30-19.30
Ingresso libero
Catalogo con testi di Julia Draganovic e Santa Nastro
Info: tel./fax +39 0258313809; carasi-massimo@libero.it; www.carasi.it
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