Un anno proficuo, il 2007, per il poliedrico
Nedko Solakov (Tcherven Briag, Bulgaria, 1957; vive a Sofia), protagonista in varie esposizioni in Italia, oltre che ospite della 52esima Biennale di Venezia, dove proprio ieri ha ricevuto la menzione d’onore da parte della giuria internazionale. E dopo la liberatoria auto-rivelazione di
Top Secret, eloquente opera concettuale di fine anni ’80 esposta a Documenta 12, l’artista bulgaro continua a parlare di sé.
Un sé complesso e multi-direzionale, “di gruppo”, affiora infatti nei dodici lavori in mostra presso la galleria bresciana. Un autore I emerge in
A Little Thing (for preventing from premature good luck), talismano dell’antifortuna, burlesco protettore da premature buone sorti.
È uno D a ideare invece l’informe “macchia” gialla di
The Yellow Blob Story, beffarda novella, il cui non-significato, perduto nella memoria dell’artista, verrà palesato dalla sottostante scritta blu. Scritte e parole ricorrenti nelle opere di questo “story-teller”, come si definisce lo stesso Solakov. Un leitmotiv che descrive le immagini come didascalie di un libro? Nient’affatto. Le sue frasi sono acuti e umoristici indizi, che completano e continuano il processo formativo dell’oggetto artistico, oltre la dimensione visibile. Come quelle tracciate sui dodici disegni di
Magic Stories. Qui è un tratto fluido ad animare le forme monocrome, sobriamente disposte al centro di composizioni prive di profondità spaziale. Semplicità stilistica ed elementarità figurativa delegano la comprensione semantica alla sfera intellettiva individuale. L’interazione fra parola e immagine fa sbocciare una spontanea curiosità nella mente dello spettatore, in un dialogo divertito e sottile, che ne libera l’assonnata creatività. Sono gli stessi soggetti fanciulleschi dei
doodle che popolano le svariate performance su strutture architettoniche, come nei recentissimi “affreschi” del Castello di Ama.
Una fonte già indagata da
Jean Dubuffet, che riscopre il genuino estro creativo degli schizzi dei bambini, nella loro capacità immaginativa incondizionata. Ma se per il maestro dell’Art brut lo spunto “infantile” si trasforma in critica corrosiva delle istituzioni sociali e artistiche, in Solakov il dissenso e l’indipendenza dai vincoli costituiti si colorano di una vena positiva e rigenerante, provocatoria e sdrammatizzante.
Una forza dissacratoria, che consente di “concretizzare” nel pensiero desideri illeciti o sconvenienti, racconti fiabeschi e irrealistici. Un’energia maieutica, che libera dall’autocontrollo imposto dai vincoli esterni. Quasi come un novello giullare medievale, l’artista si fa interprete delle variegate forme della propria “caotica” personalità, dei propri sarcastici ego. Che sono forse rinvenibili in ognuno di noi.