Lisa Ponti ha scritto, vissuto e partecipato sulla scia e al di là del solco paterno. Una simbiosi artistica, quella con Gio Ponti (Milano, 1891-1979), che ha lasciato il suo segno indelebile, senza cicatrici marcate. Un legame, il loro, che comunque non ha schiacciato la bimba-Lisa, cresciuta gioiosa e mai troppo adulta. Dell’architettura paterna la figlia ha scoperto le proporzioni dei progetti, le flessibilità dei concetti, le possibilità dei piani e le volumetrie scontrose degli angoli. Ma il motivo che l’ha cresciuta, senza più abbandonarla, è stata la rapidità del linguaggio, quello di chi immagina, e di getto schizza. Quel codice proprio di chi butta giù per fermare il pensiero, come stasi allo stato di chiarezza. Esposto alla Bel Art Gallery, infatti, è soprattutto questo. Cinquanta disegni, messi a finestra, senza filtri, soffi lievi sospinti dalla matita. Sono acquerelli, bozze e collage morbidi, sempre in linea con le nuvole e gli angeli. Chi andrà da spettatore attento potrà soffermarsi anche su pezzi d’archivio di Gio Ponti: studi di progetti come la cattedrale di Taranto, il grattacielo Pirelli e villa Planchart.
Sono schemi di stile architettonico ed analitico sul modello ideale della cattura dell’istante creativo. Ognuno di questi disegni rappresenta il risultato di una ricerca ciclica e mai stanca, quella della necessità dell’impressione.
ginevra bria
mostra visitata il 3 febbraio 2006
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