Sebbene le sue figure sembrino calate in una sorta di messinscena e facciano spesso pensare a personaggi di un
tableau vivant,
Wynne Evans (New York, 1958) non crede che tale suggestione sia programmata. L’intenzione è piuttosto calamitare lo sguardo da punti di vista mutevoli. A volte le figure sembrano camminare lungo una passerella, altre sono come bloccate in pose plastiche. E sovente il punto dell’osservazione varia. Altro elemento che sembra intenzionale è la cura del dettaglio. Ma anche qui la scelta è occasionale.
A questa mutevolezza nello stile e nelle opere corrisponde uno slittamento semantico generale: i suoi quadri ispirati a motivi tratti dalla letteratura mondiale ma, letti attraverso uno sguardo personalissimo, hanno sempre qualche elemento “spiazzante”. L’enfatizzazione del rapporto teatro/personaggio dà l’impronta di sé a dipinti che sembrano rappresentazioni di un mistero laico. E le opere in mostra da Rubin, dove Evans allestisce la sua prima personale in Italia, fanno pensare a una sorta di teatro profano. Ma contrariamente a quanto si sarebbe indotti a credere, la rappresentazione su scenari dipinti non è il segno di una speciale passione per il teatro. E il referente letterario non è un’ispirazione reminiscente per il soggetto rappresentato.
L’arte di Evans è molto “ideologica” e i riferimenti letterari sono pretesti per impaginare un diverso vocabolario con cui render conto del sé, della nozione di identità personale e della storia biografica del soggetto di esperienza. Un’estetica del rapporto natura/cultura. Pur richiamandoli fin nei titoli, le scene raffigurate non traggono veramente ispirazione, né li vogliono commentare, da passaggi letterari. Che sono i più vari: Lewis Carroll (
Alice nel paese delle meraviglie), Gustave Meyrink (
Il Golem), Jan Potocki (
Manoscritto trovato a Saragozza), i fratelli Grimm (
Hansel e Gretel).
Il lavoro è tutto giocato sul rapporto somiglianza/rappresentazione: l’una, diversamente dall’altra, è riflessiva e simmetrica. Dunque, il dipinto
Hansel and Gretel, ad esempio,
somiglia al suo referente letterario ma non lo
rappresenta. In questo gioco di specchi fra illusione e illusione, l’artista inserisce molti elementi personali, quindi in un certo senso “veri” -i modelli scelti per raffigurare i personaggi sono sovente persone conosciute nella realtà e restituite attraverso una piena adesione al vero- mentre altrove lo scenario dipinto che fa da sfondo alla rappresentazione non è banalmente suggestivo ma corrispondente al mondo esterno.
E l’avere un’ottima mano è una qualità che passa in secondo piano. Anche se ciò che fa luccicare lo sguardo è proprio la maestrìa con cui vengono resi taluni dettagli. In questo senso, la perfezione fotografica della “pittura narrativa” di Evans è in realtà un artificio. Una messinscena, appunto, per inscatolare una rappresentazione all’interno di un’altra rappresentazione, intendendo tale termine nell’accezione connessa alla trasposizione teatrale, ma anche in un senso più traslato.