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28
aprile 2008
fino al 18.V.2008 Luca Vitone Bergamo, Gamec
milano
Il pensiero sul luogo, preciso e rigoroso, non basta più. Perché spesso non porta da nessuna parte. È necessario allora arrivare a una nuova riflessione, attraverso un’atopia creata appositamente. Per perdere le coordinate spaziali, senza possibilità d’orientamento...
La mostra di Luca Vitone (Genova, 1964; vive a Milano) è la prima di una serie d’iniziative volte a valorizzare la collezione permanente della Gamec e, attraverso le personali di “giovani” artisti presenti nella raccolta del museo, ad approfondirne tematiche e percorsi.
Dire che Vitone è un artista dei luoghi o che, in un mondo caratterizzato da un diffuso nomadismo, viva ovunque e in nessun posto non è sufficiente, poiché ormai queste condizioni sono comuni quasi a chiunque. Forse la figura a cui può essere associato è quella dell’agrimensore kafkiano, non però di un terreno misurabile, ma di uno spazio in cui, attraverso la ricerca, si deve ricostruire una misurazione culturale e sociale, una sorta d’identità trascorsa.
Sulle tracce di frammenti vissuti che si possono ritrovare in scavi socio-culturali e nelle misurazioni di luoghi in cui la cultura era presente, Vitone costruisce la sua poetica.
Le informazioni reperite, dai materiali identificativi a quelli raccolti dalle tradizioni orali, sono tutte necessarie come tasselli di un mosaico. Sonorizzare il luogo, Emilia Romagna (1989-93) è un lavoro che combina la cartografia, in questo caso delle regioni d’Italia, con la musica della tradizione popolare. Venti cartine e venti pezzi musicali, ricercati come farebbe un antropologo, riportano alla superficie un passato storico prezioso e identitario.
La ricerca di Vitone non si limita però alla raccolta di reperti culturali, ma cresce nella loro elaborazione, che avviene con il contatto diretto di chi vive nei luoghi indagati e che è poi utilizzata per ricostruire un’identità locale. In Nulla da dire, solo da essere (2004), una delle opere più significative sia dal punto di vista politico che sociale e culturale, l’artista fonde l’iconografia dei movimenti anarchici con quella del mondo nomade dei rom. E la frase “Il movimento è tutto, il fine è nulla” è la sintesi di questi stili di vita.
Entrando in contatto con le comunità a-sistemiche o isolate dai flussi comunicativi, Vitone rende esplicite le contraddizioni. Proprio dai termini contrastanti, inseriti come supporti portanti dell’opera, nasce la consapevolezza originaria di un luogo e la destabilizzazione dei codici e dei linguaggi che usiamo correntemente. Lo spettatore può allora raccogliere i frammenti culturali che Vitone riporta dai suoi viaggi e innestarli nella propria vita.

E nel momento in cui il nostro sguardo si posa sulle sue mappe di comunità altre (Wider City, 2006, e Wide City, 1988), che esistono nei nostri tessuti urbani e che spesso ignoriamo, le nostre identità culturali apparentemente consolidate sono gettate in una condizione di spaesamento. Ed esigono un chiarimento esistenziale.
Dire che Vitone è un artista dei luoghi o che, in un mondo caratterizzato da un diffuso nomadismo, viva ovunque e in nessun posto non è sufficiente, poiché ormai queste condizioni sono comuni quasi a chiunque. Forse la figura a cui può essere associato è quella dell’agrimensore kafkiano, non però di un terreno misurabile, ma di uno spazio in cui, attraverso la ricerca, si deve ricostruire una misurazione culturale e sociale, una sorta d’identità trascorsa.
Sulle tracce di frammenti vissuti che si possono ritrovare in scavi socio-culturali e nelle misurazioni di luoghi in cui la cultura era presente, Vitone costruisce la sua poetica.

La ricerca di Vitone non si limita però alla raccolta di reperti culturali, ma cresce nella loro elaborazione, che avviene con il contatto diretto di chi vive nei luoghi indagati e che è poi utilizzata per ricostruire un’identità locale. In Nulla da dire, solo da essere (2004), una delle opere più significative sia dal punto di vista politico che sociale e culturale, l’artista fonde l’iconografia dei movimenti anarchici con quella del mondo nomade dei rom. E la frase “Il movimento è tutto, il fine è nulla” è la sintesi di questi stili di vita.
Entrando in contatto con le comunità a-sistemiche o isolate dai flussi comunicativi, Vitone rende esplicite le contraddizioni. Proprio dai termini contrastanti, inseriti come supporti portanti dell’opera, nasce la consapevolezza originaria di un luogo e la destabilizzazione dei codici e dei linguaggi che usiamo correntemente. Lo spettatore può allora raccogliere i frammenti culturali che Vitone riporta dai suoi viaggi e innestarli nella propria vita.

E nel momento in cui il nostro sguardo si posa sulle sue mappe di comunità altre (Wider City, 2006, e Wide City, 1988), che esistono nei nostri tessuti urbani e che spesso ignoriamo, le nostre identità culturali apparentemente consolidate sono gettate in una condizione di spaesamento. Ed esigono un chiarimento esistenziale.
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a cura di Enrico Lunghi, Martin Sturm e Giacinto Di Pierantonio
Gamec – Galleria d’arte moderna e contemporanea
Via San Tomaso, 52 – 24121 Bergamo
Orario: da martedì a domenica ore 10-19; giovedì ore 10-22
Ingresso: intero € 4; ridotto € 2,50
Catalogo Folio Verlag, € 39,95
Info: tel. +39 035399528; fax +39 035236962; info@gamec.it; www.gamec.it
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