Romania sugli scudi, verrebbe da dire. La cosiddetta “generazione post-dicembrista”, composta da artisti che si sono formati in seguito alla rivoluzione del 1989, è in costante ascesa nel cinema -si pensi al regista
Cristian Mungiu, Palma d’Oro allo scorso Festival di Cannes con il film
4 mesi, 3 settimane e due giorni– e riscuote notevole interesse anche nel settore dell’arte contemporanea.
Recentemente conosciuto e apprezzato in Italia (era tra gli artisti del padiglione rumeno all’ultima Biennale di Venezia, ha poi esposto in una personale alla galleria Zero di Milano),
Victor Man (Cluj-Napoca, 1974) è tra le figure più rappresentative dell’odierna scena artistica di Cluj. Questa sua prima personale in un museo è inserita nella programmazione di
Eldorado, un progetto rivolto dalla bergamasca GAMeC agli artisti emergenti sulla ribalta internazionale.
Man presenta tre installazioni composte da pitture, lightbox, fotografie, object trouvé combinati eterogeneamente a creare una molteplicità di simboli e significati. Il suo processo artistico trova l’avvio nella scelta d’immagini mass-mediatiche e oggetti d’uso comune ritenuti in qualche modo significativi o stimolanti. Procedendo successivamente al loro assemblamento, l’artista raggiunge nuovi e reconditi significati attraverso una decontestualizzazione portata fino al limite della scomparsa dell’identità originaria.
Dislocate in tre ambienti separati, queste intriganti installazioni sono idealmente collegate fra loro. Riconducono enigmaticamente, mediante una narrazione conturbante e soffusa di malinconia, a temi che ruotano intorno all’ossessione del desiderio e al sesso; a sentimenti di perdita e morte che si contrappongono all’aspirazione d’immortalità. Due piccole fotografie rappresentano guanti perduti sul selciato di una strada e si affiancano alla scritta in vinile “
we die”, barrata con una X dalla luminescenza di due neon. E poi pitture e immagini di dettagli feticisti, che possiedono un alto gradiente erotico, unite o correlate con reti metalliche, collane, rotoli di feltro.
Al secondo piano si viene risucchiati in un moderno
memento mori. L’ambiente buio è illuminato solamente da un lightbox che raffigura un crocifisso divelto; il dettaglio ne inquadra la parte superiore, dove la croce è rimasta soltanto con le braccia inchiodate del Cristo perché il corpo è stato, con ogni probabilità, strappato. Steso sul pavimento vi è un tronco d’albero morto, mentre sulla parete laterale l’anta specchiante di una cassetta per i medicinali risiede nascosta nell’oscurità.