Ci sono diverse motivazioni che rendono la mostra di Martin Creed (1968, Wakefield) piuttosto tiepida. Doveva essere l’avvenimento della stagione, e invece si è rivelato un clamoroso flop malgrado avesse tutti gli ingredienti giusti.
Il percorso comincia dall’esterno. Sulla facciata del palazzo compare la scritta al neon Everything is going to be allright, tutto sta andando per il meglio. Una frase luminosa compare anche all’interno. Dice Small, ma invece è big. Dirimpetto, un “piano preparato”, il cui détournement consiste nel fragore prodotto dal congegno che apre e chiude lo strumento. Proseguendo, poi si entra nel famoso ambiente a luci intermittenti che valse all’artista il Turner Prize nel 2001, percorso il quale ci si ritrova dinanzi ad un video, in cui una giovane, ripresa su fondo bianco, vomita. Per finire un tizio, pagato dalla Fondazione corre intorno al museo fino allo stremo. Ora, se ci pensiamo bene, c’è dentro tutta la storia dell’arte. Da Joseph Kosuth, alla Minimal Art, Da Marina Abramovic a Fluxus. Fino alla YBA, con una spolveratina -che mai guasta- di Maurizio Cattelan. Ovvero: una ricerca sugli stereotipi del mondo reale -come di quello surrogato che chiamiamo arte- fino alla forzatura dei limiti del corpo umano, portato al parossismo.
Perché queste formule sembrano funzionare, e invece non f
Il pubblico ama e capisce solo ciò che riconosce. Non a caso il piatto forte dell’intero congegno è il progetto del Turner Prize. Tutto il resto è un continuo richiamo a filoni che sono ritenuti contemporanei, ma -e qui sta la furbizia– sono già dei classici. E in quanto tali, inattaccabili. Un ricatto bello e buono, che dà manforte qualora nemmeno l’autorità dello spazio, fondazione, curatore e artista bastino a placare gli animi più diffidenti.
Ma c’è di più. Non va tutto bene, Mr. Creed, c’è poco da fare. Le nuove generazioni se ne fanno, infatti, un baffo di questa facile ironia che non fa ridere più nessuno. Della frigidezza di opere senza sangue, dove anche la violenza perde di drammaticità per diventare una gara al rialzo a chi offende, infastidisce, irrita di più. Ma queste sono ancora parole in libertà… Tornando a bomba, ci sono altre questioni da sondare. Perché, benché Martin Creed si affatichi a sovraccaricare i suoi lavori di ispirazioni colte altrove, questi non raggiungono la forza dei riferimenti di partenza? Innanzitutto la citazione è diventata retrò già verso la fine degli anni ’70, e questo è un dato storico. Inoltre, richiamarsi vacuamente al passato significa inevitabilmente mutuare da esso la forma puramente estetica, privandola del contenuto iniziale.
Quando Creed cita Kosuth, spoglia le opere del maestro della carica eversiva insita nei suoi messaggi tautologici, della freddezza analitica dell’ art as idea as idea. Il piano, pur chiudendosi rovinosamente su se stesso, è apatico e nulla conserva della forza rivoluzionaria dei Fluxus. E così via, vale per tutto il resto. Di cosa abbiamo bisogno oggi, solo il trascorrere del tempo potrà dircelo. E gli intellettuali che sapranno interpretare la nostra epoca.
Forse però un mondo come il nostro, sempre a rischio di implosione, avrebbe bisogno di riflettere sul passato, non di accettarlo di buon grado con l’esecuzione di meri esercizi di stile. O forse no. Forse l’opera di Creed è l’immagine in arte dello stato di salute della nostra società, di cui registra la passività. E in tal modo centra l’obiettivo. Ancora parole in libertà, insomma. E ai posteri l’ardua sentenza.
santa nastro
mostra visitata il 16 maggio 2006
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La sdrammatizzazione della violenza è uno degli elementi su cui si regge il cinema di Quentin Tarantino, il quale con l'estrema violenza riesce persino a fare ridere. Mi viene da accostare Creed a Tarantino, non solo per certe sue esagerazioni un pò pulp, ma anche per la facinoleria (le parole in libertà?) con la quale a man bassa riprenderebbe ovunque da filoni ed autori della storia dell'arte contemporanea. Ma questa cosa in un senso lato c'è sempre stata, tanto che lo stesso Picasso ben prima degli anni '70, si vantava di rubare agli altri, menefregandonese allegramente dell'integrità e l'identità storica delle sue scorribande culturali.
L'articolo comunque è scritto molto bene anche se con i riferimenti linguistici futuristi delle "parole in liberta" o anche di un'espressione tipo: "tornando a bomba" (di tonalità molto Marinettiana) si incappa nello stesso "errore" citazionista per cui Creed viene con alta mira silurato.
E allora con tutto il rispetto per Filippo Tommaso... BOOM!
devo dire he è una buona presa di posizione, calibrata, passionale il giusto, assolutamente contestualizzata.
oltretutto pienamente condivisa.
TREMBLE, YOU LITTLE COWARDS. WINTER IS COMING.
L.S.
Sì, bella recensione.
mostra molto deludente,la peggiore organizzata dalla fondazione trussardi(brava santa)
Sono perfettamente d'accordo.
brava!
everything is going to be alright vuol dire tutto andrà bene, per il meglio, cmq
mostra oltre il deludente, sacro"santa" stroncatura omette il lato peggiore forse per mancanza di spazio ovvero che non è stato prodotto nulla di nuovo e sicuramente spesi molti soldi per ri-produrre opere di cui si era già scritto con polemica. quel che è peggio invece è che è molto male allestita ( vedi l'opera non citata della risma in una stanza dove convive con il grosso fan, il pianoforte e il giant neon con la scritta small, tutti buttati a casaccio dentro un luogo a cui speriamo italo rota renderà la dignità e il ruolo di "espositivo" come ha fatto in triennale con la sua strepitosa mostra).domanda: perchè beatrice trussardi non cambia lo staff dopo anni? anche l'ufficio stampa non ha nulla da fare tanto quando c'è una mostra della fondazione ci sono proprio tutti. soprattutto quelli che non vanno mai a vedere quanta roba meglio di creed l'italia a volte sfodera.
Dear Mr.Sabatini,
why the fuck do you paragon Creed to Tarantino? Please, do something great for humanity: don't ever, ever talk about what you don't know. Superficiality is the worst sin.
Good Night, and Good Luck.
L.S.
Lord Sandwich rulz