La Grande Decorazione di Sironi, ovvero Sironi fascista. Questa l’equazione –superficiale a dire la verità- che ha privato il pubblico, fino a pochi anni fa, di una parte fondamentale e –soprattutto- di eccezionale qualità della produzione di uno tra i più grandi artisti italiani del 900.
Il rapporto di Mario Sironi (Sassari 1885 – Milano 1961) con il Fascismo non fu univoco; se la sua adesione a livello pratico fu chiarissima ed inconfutabile, le sue dichiarazioni a proposito della Grande Decorazione fanno pensare che –in un certo senso- Sironi sfruttò le idee della dottrina fascista, sfuggendo comunque alla mera celebrazione della retorica di regime.
In questo senso è significativo il riferimento alla classicità che egli già aveva fatto suo (non da solo, siamo –va ricordato- nel periodo del Ritorno all’Ordine) e la possibilità di conservare nel proprio lavoro le tracce del passato periodo futurista.
Il tipo di collaborazionismo che il fascismo richiedeva era in linea con le sue esigenze espressive all’epoca. La Grande Decorazione –così definita dall’artista- consisteva nell’applicazione dell’arte non più a opere da cavalletto ma a progetti –voluti dal regime- legati ad ingenti realizzazioni architettoniche: dalle facciate di palazzi, alle vetrate, agli allestimenti di esposizioni temporanee. Questo periodo finì per assorbire completamente la sua produzione e Sironi non si dedicò ad altri tipi di progetti se non quelli di commissioni pubbliche.
La mostra, allestita alla Triennale (uno dei luoghi che testimoniano quel momento storico) raccoglie bozzetti e progetti di opere che in gran parte non esistono più; eppure, la grandiosità delle realizzazioni e la convinzione con cui l’artista affrontava questo tipo di lavori fa sì che anche i progetti risultino straordinari. Raramente ci si trova davanti a disegni preparatori di tale qualità e autonomia; molti progetti –quasi tutti in scala 1:1- sono enormi dipinti su grandi cartoni o applicati su tela.
Fra le opere in mostra i cartoni per la vetrata La carta del Lavoro del Ministero delle Corporazioni, oggi delle Attività produttive, realizzato principalmente a carboncino. I progetti per le vetrate erano identici al risultato finale, dato che la realizzazione veniva commissionata a terzi da Sironi, mentre nessuno dei progetti per gli affreschi –realizzati in seguito dall’artista stesso- appare definitivo. Fra i progetti per affresco spiccano quelli per l’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma, per la Casa Madre dei Mutilati di Guerra a Roma e per il mosaico L’Italia corporativa. Fra i soggetti -tipici dell’immaginario promosso dal Fascismo, ma declinati in modo inconfondibile da Sironi- cariatidi classicheggianti, lavoratori, soldati, ma anche rappresentazioni allegoriche come la Giustizia e la Legge, la Giovinezza, l’Agricoltore.
La tappa milanese della mostra (dopo quella di Bologna) celebra l’uscita della monumentale monografia sulla Grande Decorazione sironiana, pubblicata da Electa.
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cosa vuol dire?
moltissimo amo Sironi, del quale mi piacciono le pennellate aspre, il contrasto tra il bianco del lampo ed il nero della sua stessa cupezza, le rotaie, le finestre scure... eppure il discorso cade sempre lì: Sironi fascio, Sironi non fascio.
Il catalogo dell'ultima mostra alla galleria Cortina è bellissimo per le immagini, e vergognoso nel testo. Non è possibile NON usare, in tutto il testo, una volta la parola fascismo, proprio per Sironi.
Chi è stato ad usare l'altro: l'autore o il regime? E' stata una simbiosi strettissima, a mio giudizio, ma la pittura di Sironi viaggia molto più in alto - e più in basso - della retorica urlata di un periodo oscurato come le pudende. E'grandissima arte. Di un pittore fascista. Punto. E basta.