L’antica Roma usava tatuare schiavi e criminali, inca e maya consideravano i tatuaggi come rappresentazioni di coraggio. Mentre il corpo congelato dell’“
uomo venuto dal ghiaccio” vissuto 5mila anni fa presentava sulla sua pelle ben conservata 57 tatuaggi. Così come le mummie nell’Egitto del 2000 a.C. fino ai moderni
biker e
headbanger.
I tattoo artist sono spesso graphic designer d’eccezionale talento creativo, i cui lavori, da intimi messaggi incisi sulla pelle, sono riprodotti sulle pagine di libri illustrati come autentiche opere d’arte e valorizzati nella loro stessa essenza iconografica, al di là dalla superficie -l’epidermide o la carta- su cui s’imprime il segno grafico.
Nella bipersonale di Scott Campbell e Jeremiah Maddock i libri ci sono veramente. Con le civiltà inca e maya.
Scott Campbell è un affermato tattoo artist di New York con alle spalle studi non rimpianti di chimica organica. Ha trasposto i suoi disegni su carta a mano, tele, legno, creando anche composizioni come la serie di boccette di medicinali
Thinking of you mother e incidendo col laser la copertina e le pagine di un libro,
Things get better. Il libro, per la cronaca, è
The third choice di Elizabeth Janeway.
Campbell, per il quale la musica riveste un ruolo importantissimo -è onnivoro, ascolta da Bob Dylan agli Slayer passando, ovviamente, per i Motley Crue- si ispira alla
body type e porta con sé il repertorio dell’iconografia tattoo (cuori, cobra, teschi, dichiarazioni, motti), riproponendoli attraverso acrilici, acquerelli e incisioni al laser su carte fatte a mano e su legno, spesso sortendo un effetto percettivo ingannevole:
You fuckin’ bitch, ad esempio, sembra un pannello di legno, in realtà è una tela.
Jeremiah Maddock è una persona solitaria che fino a non molto tempo ha vissuto nei boschi da qualche parte in America e deve aver fatto sua la dottrina di David Thoreau. L’amico fraterno Campbell ha poi “cospirato” per convincerlo a trasferirsi a New York e fare le prime mostre. Lavora con litografie dipinte, opere a inchiostro e pennino. I suoi disegni ricordano molto le civiltà pre-colombiane (
Drown the witch), fanno pensare ai valori archetipici di un
Capogrossi (
Piano Music) e a una sensibilità un po’ surreale e visionaria (
Double Crossed).
“
Processi, processi, processi. I miei disegni sono un flusso di coscienza altisonante, con concetti vaghi, aperti alla libera interpretazione, sottintesi o accennati”, dice l’artista. Sono realizzati direttamente sui
contreplat e sulle pagine sciolte di libri vecchi. Rilegati, diverrebbero all’improvviso libri illustrati di pregio.
Le opere di Scott e Jeremiah prendono la forma pura della decorazione e ciò non deve far pensare all’accezione deteriore che di solito è attribuita a tale termine. Se così fosse, significherebbe mandare all’ammasso una non piccola parte della storia dell’arte, o averne un’idea quanto meno conservatrice.