Gillo Dorfles azzardò la distinzione fra colore tonale e colore timbrico, vedendo nell’“
atmosfericità ” prodotta dall’amalgama della materia colorata il discrimine fra il valore tissulare del colore, enfatizzato nel suo aspetto plastico, e il suo valore puramente timbrico, caratteristico di quella fase storica in cui la pittura superò l’inclinazione narrativa, uscendo dal circolo della rappresentazione.
Da un lato, dunque, l’azzeramento delle specificità individuate e singole del colore nell’“
atmosfericità ” generale della superficie dipinta; dall’altro l’enfatizzazione della purezza timbrica del colore. Con le sue composizioni d’azione, l’artista norvegese
Ida Ekblad (Oslo, 1981) preserva il colore dal rapporto ancillare con l’“
atmosfericità ”. In questo senso, la sua opera si accosta per certi versi alla pittura gestuale propria dell’espressionismo astratto. Nonché agli esiti cui pervenne
Asger Jorn e all’opposizione alla logorrea pensosa di cui si fece portavoce quel gruppo CoBrA di cui Jorn fu uno dei promotori.
Ma l’accostamento all’arte – e alla vita – consente a Ekblad di spaziare nel territorio della pittura, superando il limite della superficie, fino a investire gli oggetti ordinari. Che diventano oggetti di un’esperienza estetica. Reminiscenti del loro originario valore d’uso, decontestualizzati rispetto all’ordinario arredo costitutivo del mondo e investiti d’un significato estetico.
La sua prima personale, ordinata negli spazi espositivi di Alessandro de March, si sviluppa dunque lungo queste due direttive: la pittura e l’oggetto. Insistendo sul concetto di barriera come limite
valicabile fra attualità e passato colto, Ekblad individua in tali estremi il coacervo di mitologemi di una contemporaneità effimera (le barriere museali e tutto ciò che inibisce la possibilità di vivere l’arte a livello viscerale) e il recupero di certi miti della storia dell’arte (il gruppo CoBrA, per esempio).
La mostra dell’artista di Oslo ha una fortissima connotazione primitiva: tele grezze dipinte con indefessa furia caotica, pervase di concrezioni materiche e grumi di colore, accostate alle barriere in uso durante i lavori di riordino stradale, ricontestualizzate e dipinte al punto da agglomerarle alle tele stesse, ottenendo la composizione di corpi estetici unici e idealmente inseparabili. Ciò che promana dal lavoro di Ekblad è allora l’afflato di un’estetica rivoluzionaria, nata dal passato colto dell’arte e sviluppata nell’accezione marxiana di
capovolgimento del mondo.
In esilio dal regno minerale è infatti l’apologia dell’impeto rivoluzionario espressa nel video in cui l’artista norvegese, dall’alto di una montagna di rifiuti, compie l’assalto al cielo. Riportando sulla terra le condizioni d’uso degli oggetti, Ekblad ne rovescia il rapporto con gli esseri umani: nega la relazione eterodiretta dell’oggetto verso l’essere umano, riproponendola invertita e investita di pregnanza estetica.